In un concorso del 75° Festival di Berlino finora molto deludente, si distingue il tedesco What Marielle Knows – Was Marielle Weiss, seconda regia di Frédéric Hambalek. Una bella sorpresa per una storia familiare tra commedia e dramma, con Julia Jentsch ottima protagonista.
Dopo aver ricevuto uno schiaffo da una compagna, alla quale aveva dato della “puttana”, Marielle acquista una capacità sorprendente: può vedere e sentire ciò che i genitori fanno e dicono al lavoro o in camera loro. La rivelazione è spiazzante quando l’impassibile Marielle contraddice il padre sul suo resoconto della giornata e poi dice che la madre ha fumato durante la pausa in ufficio. I genitori si allarmano, non sanno che fare e come comportarsi, sospettano che lei abbia hackerato i telefoni o magari li provochi. I loro piccoli segreti – il flirt di Julia, che lavora in pubblicità, con il collega Max o gli scatti di rabbia di Tobias che lavora in una casa editrice, è aggressivo e ha modi di fare che lo mettono in contrasto con gli altri – stanno per venire allo scoperto minando la pale familiare. Il fatto che Marielle veda e parli senza porsi limiti aggrava la situazione, anche perché nessuno sa come interrompere quel dono straordinario. Georg ci prova portando la figlia dall’amica che l’aveva schiaffeggiata e impone a quest’ultima di scusarsi, facendo diventare molto più grave lo schiaffo dell’offesa iniziale. Il film pone tutta una serie di domande che riguardano la famiglia. Fin dove si può dire la verità? A quali costi? Quali sono i limiti di una relazione? È ammissibile un flirt che non passa ai fatti? Di chi è la colpa se una relazione non funziona? Fin dove ci si può spingere nel difendersi da accuse o insinuazioni? Come fermare il nuovo potere di Marielle?
Was Marielle Weiss (“Ciò che Marielle sa”) ha momenti molto divertenti e non perde mai il ritmo, si sviluppa a partire dallo spunto molto interessante e originale: mandare in crisi la famiglia con un problema imprevedibile cui è difficile rimediare. Rischia di diventare una guerra contro tutti in cui nessuno crede più agli altri, anche se Julia e Tobias cercano di stare uniti, usando magari la lingua francese per non farsi capire da Marielle.
Per diversi elementi e temi (la percezione delle persone, la crisi di una donna, il punti di vista delle bambine, il rapporto madre e figlia) la pellicola ha assonanze con l’americano If I had Legs I’d Kick You, ma è molto più riuscito.
Anche questo, firmato da Mary Bronstein, è stato presentato in competizione per l’Orso d’oro ed è un’opera seconda, dopo Yeast del 2008. Linda (Rose Byrne) è una psicoterapeuta a Montauk, vicino a New York, e la sua vita che sta letteralmente crollando. Cerca di affrontare la misteriosa malattia della figlia, gestendo l’assenza del marito pilota e le difficoltà lavorative, sia con i pazienti sia i colleghi, mentre a sua volta va in terapia. Un thriller psicologico con parti horror, tutto incentrato su di lei, fin dalla scena iniziale: un lungo primo piano di Linda, mentre la figlia la descrive con parole nella quale ella non si ritrova. All’arrivo a casa, le due si ritrovano a gestire il crollo del soffitto per una perdita d’acqua al piano superiore. Linda deve risolvere i problemi pratici e calmare la ragazzina sempre spaventata e con la paura di morire, mentre emergono i suoi problemi psichici. If I had Legs I’d Kick You è contrassegnato da una concitazione continua che lo rende esasperante, mentre accumula simboli (come il criceto) e ci si perde nel gioco tra realtà e percezione e immaginazione.
Un po’ meglio Girls on Wire della cinese Vivian Qu, nota per il bel Trap Streep (2014). La giovane Tian Tian ha ucciso uno spacciatore, scappa e va nella brulicante Film City a cercare la cugina Fang Di, l’unica persona cui può rivolgersi. Questa è un’impegnatissima stunt che lavora nei film di cappa e spada, girando scene pericolose e impegnative legata ai fili, come controfigura della protagonista. Tian riuscirà fortunosamente a trovare la parente, che non vede da anni e della quale ha notizie solo attraverso i social. Un film che progressivamente prende sempre più la piega del thriller, ma è più interessante nella prima parte quasi metacinematografica, dove rende bene la confusione e l’adrenalina della città del cinema dove si girano anche dodici lavori contemporaneamente di generi completamente diverso, dall’ospedaliero al sentimentale, al film bellico in costume. Un luogo dove le persone vanno a inseguire i sogni, mentre Tian per sfuggire al pericolo troverà impiego come comparsa, Fang vuole diventare attrice e si sottopone a provini e piccoli ruoli recitati. Sullo sfondo, quasi immancabile, l’evoluzione della Cina, soprattutto nei flash-back con le due donne bambine nel 1997, con il ritorno di Hong Kong sotto Pechino, accolto con favore in famiglia.
da Berlino, Nicola Falcinella