Amos Gitai, il più famoso regista israeliano, torna alla Berlino con questo nuovo lavoro, un film teatrale, avvincente e molto politico, presentato nella sezione Berlinale Special.
Siamo all’interno di un gigantesco condominio israeliano, brutto e degradato, qui s’incrociano una serie di personaggi, a cominciare da una splendida Irène Jacob che si aggira tra i corridoi di questo palazzo-babele, insieme a lei immobiliaristi, insegnanti di ebraico, profughi dell’est, politici e affaristi vari. Il personaggio della Jacob è la prima che vede il “rinoceronte” fuori dall’edificio ma non riesce a far capire agli altri cosa ha visto, declama, e certe volte grida, frasi spesso in contraddizione tra di loro.Tutte le persone che si aggirano hanno lingue, origini e generazioni diverse e danno vita a uno strano mix di dialoghi altamente teatrali, tutti sono alle prese con lo stato attuale delle cose in Israele.
Gitai realizza un film metaforico ispirato alla famosa opera teatrale Rinoceronte di Eugène Ionesco. La famosa pièce fu scritta nel 1959 ed è tra le più complesse ed interessanti opere del teatro dell’assurdo, il lavoro teatrale parlava di un’immaginaria epidemia di “rinocerontite”, che ha inizio in un piccolo paese per poi diffondersi dappertutto. Alcuni abitanti del paese iniziano a trasformarsi in rinoceronti, mentre altri resistono. La trasformazione degli esseri umani in rinoceronti era per Ionesco un riferimento al cedimento dell’uomo comune (e dell’intellettuale) alle tendenze totalitarie.
Quello di Gitai è un adattamento molto israeliano, Shikun infatti in ebraico significa alloggio sociale: la parola deriva da un verbo che significa riparare, dare rifugio. Il palazzo del film dà perciò un rifugio per persone che, per diversi motivi, hanno bisogno di ripararsi dalla minaccia dei rinoceronti.
Shikun è nato prima di questa ultima guerra e lo stessi Gitaine racconta la genesi: “Eravamo nel mezzo di un enorme movimento di protesta contro il tentativo di Netanyahu e del suo governo di estrema destra di riformare il sistema legale. In quelle grandi manifestazioni convivevano gruppi femministi, soldati, accademici, economisti, persone che lottavano per la coesistenza pacifica tra palestinesi e israeliani. Insomma, un’ampia parte della società civile contro la distruzione del sistema legale democratico. Quel movimento fu anche la reazione all’ascesa di una forma di conformismo, alla scomparsa dello spirito critico nella società israeliana…”. Poi però è arrivato il 7 ottobre e tutto è cambiato, con il governo di Netanyahu diventato governo di guerra e praticamente intoccabile. Questo ha portato Gitai a ripensare il film che aveva in mente ed è diventato quello che abbiamo visto qui a Berlino.
Shikun è una favola antitotalitaria che riecheggia visionariamente ciò che si sta vivendo in Israele e Palestina, è una potente allegoria dell’autoritarismo e fa un discorso importante sulla cattiva coscienza dell’Occidente. Rileggere Ionesco oggi è fare un ritratto dell’annullamento del pensiero critico di fronte al disastro della guerra in corso. Anche se non mostra immagini del conflitto è evidentemente un film politico che prova a ragionare sul quelche sta succedendo. Coi tempi che corrono è un film politico e necessario.
da Berlino, Claudio Casazza