Nicolas Philibert è senza alcun dubbio uno dei più grandi registi di documentari contemporanei, il suo metodo è stare vicino ai personaggi che racconta. La sua cifra stilistica è la ricerca dell’umanità, da sempre è così il suo cinema, da quei due capolavori degli anni ’90 Essere e avere e Nel paese dei sordi, fino al gruppo di persone di La maison de la radio (visto qui a Belino a Panorama nel 2013). Il suo è un cinema di vicinanza, di prossimità con il mondo che racconta, la sua osservazione prolungata nel tempo è motivata da un genuino e contagioso interesse per tutto ciò che si muove all’interno di una comunità.
In questo nuovo film, presentato nel Concorso principale della Berlinale, racconta l’Adament, un centro di psichiatria nato nel 2010 nel cuore di Parigi, dentro a un battello ancorato sulla Senna. È un posto completamente diverso da un normale ospedale psichiatrico, è vicino all’acqua e al traffico fluviale. È anche un bel posto, è uno spazio aperto che cerca di aiutare i pazienti a ritrovare la loro scintilla, a riconnettersi con il mondo in un momento in cui sono spesso chiusi in sé stessi e non vogliono più lasciare le loro case.
La questione della fiducia è sempre centrale nel lavoro di documentarista e la posizione di Philibert è perfetta al riguardo. Il regista francese fa una scelta di campo ben precisa, non sappiamo che tipo di malattia hanno gli ospiti, non vediamo trattamenti medici ma vediamo le persone al contatto solo con dinamiche artistiche: un cineforum, il disegno, tanta musica conil personaggio del rocker davvero memorabile, molta parola ma anche un bel discorso sulla danza e il corpo da parte di una paziente.
Vediamo susseguirsi relatori, filosofi, scrittori, registi, si parla di James Dean, Jim Morrison, Gerard Philippe, di Bogarde Ava Gardner, di Effetto notte di Truffaut. Philibert sembra dirci che le persone malate sono persone proprio come noi, quello che ci raccontano, il loro modo di vedere il mondo, che è chiaramente molteplice e diversificato, ci ricorda molto noi stessi, le nostre gioie e i nostri difetti.
Dai titoli di coda capiamo che il regista francese vuole anche dirci che il sistema sanitario francese non è in buone condizioni e che, in un momento di crisi, la psichiatria soffre ancora di più, è quasi trascurata, abbandonata dalle autorità, perciò lui vedel’Adamant come una forma di resistenza. Un luogo dove le persone si rifiutano di arrendersi.
Sur l’Adamant è un film gentile e illuminante che ci invita ad accogliere quel microcosmo di persone che frequenta il centro, ci fa entrare in contatto con il loro mondo tra tristezza e divertimento. Philibert chiaramente non ha però voluto fare un cupo film sulla psichiatria, ha voluto metterci il relazione con persone che sembrano aver trovato una sorta di equilibrio nella loro vita, che convivono con la loro malattia, che sono riuscite a controllarla e accettarla. Sur l’Adamant ci invita ad abbandonare i luoghi comuni che tutti abbiamo sulla malattia mentale, non vediamo né violenza, né urla, paradossalmente invece ci divertiamo con i racconti dei pazienti, con le loro canzoni, i disegni che inventano, con i loro sogni e le loro paure.
da Berlino, Claudio Casazza