Ultime battute della prima parte della 72° Berlinale, che stasera assegna i premi ma, da domani a domenica, propone repliche di tutti i film. Come spesso al Festival di Berlino il pronostico è molto incerto e c’è spazio per le sorprese, tanto più che il presidente di giuria è M. Night Shyamalan, autore di genere poco avvezzo ai festival.
Tra i 18 in lizza spiccano forse in due, il catalano Alcarras di Carla Simon e il cinese Return tu Dust di Li Ruijun. Nomi magari poco noti, ma non proprio delle novità. La prima si era rivelata con l’incantato e incantevole Estate 1993 nel 2017, il secondo è già al sesto lungometraggio, compresi Fly with the Crane (2012) presentato alla Mostra di Venezia e Walking Past the Future (2017) a Cannes. Entrambi parlano di famiglie di agricoltori travolti dalla modernità. Alcarras è il podere che la famiglia Solé lavora da tre generazioni, in usufrutto dai Pinyol in segno di riconoscenza per averli nascosti e protetti durante la guerra. Ma l’ultimo erede dei proprietari è avido, non tiene conto del passato e vuole rimuovere le coltivazioni (pesche e mais, soprattutto) per speculare posizionando distese di pannelli solari. Anche stavolta Simon racconta un’estate, di lavoro, di feste, di giochi (bellissima la parte con i bambini, cominciando dal folgorante inizio) e preoccupazioni. È la fine di un mondo che arriva alla fine della stagione del raccolto. La regista ha uno sguardo delicato e partecipe sui suoi protagonisti e intesse un film corale molto convincente.
È un film quasi olmiano, Return to Dust, con parecchi elementi che ricordano Vermisat di Mario Brenta. Con un matrimonio combinato dalle famiglie, un contadino povero, “il quarto fratello”, sposa una donna con problemi di salute che nessuno vuole. Cacciati dall’alloggio che avevano trovato, perché il villaggio vuole abbattere e ricostruire, i due si costruiscono una casa da soli partendo da vero e coltivano terreni a frumento e verdure. Un film su marginali spinti sempre più ai margini da una società avida e senza scrupoli, da una modernità che travolge tutto (tema caro anche a Jia Zhang-ke), sulla dignità del lavoro, sull’accettazione del proprio destino e insieme il tentativo di migliorare la propria condizione. Un film asciutto, ma con piccole delicatezze: i due si disegnano fiori sui polsi utilizzando chicchi di grano e l’uomo si porta dietro il nido di rondini che stava sull’edificio distrutto.
L’Italia ha la carta Leonora addio di Paolo Taviani, al primo lavoro dopo la morte del fratello Vittorio, con cui vinse l’Orso d’oro nel 2012 con Cesare non deve morire. Unendo due storie diverse, una sulle assurdi vicissitudini delle ceneri di Luigi Pirandello dopo la morte e una dal suo racconto Il chiodo, Taviani parla del passare del tempo, dell’invecchiare, del lasciare posto ai figli. E pure del fascismo e della guerra, utilizzando frammenti di altre pellicole (Paisà, L’avventura, Un’estate violenta, Il bandito, Il sole sorge ancora), con momenti di grande cinema e un notevole passaggio dal bianco e nero della prima parte al colore. Questa trovata, accompagnata da un magnifico sguardo d’amore in macchina, si ritrova in The Novelist’s Film del prolifico coreano Hong Sangsoo. Un regista che fa un film all’anno, variando sempre sulle relazioni, il caso e l’arte, tra frequenti camminate dei suoi protagonisti alternate a incontri nei bar dove si beve abbondantemente. Stavolta i personaggi, una scrittrice affermata e un’attrice soprattutto, sono in crisi creativa, ma una giornata imprevista può cambiare qualcosa. Un’opera deliziosa ricca di dettagli che conferma ulteriormente la grandezza di un cineasta che guarda a Rohmer e Allen ma è personale e originale. Tra gli altri film che ambiscono a un premio ci sono Peter von Kant di Francois Ozon, omaggio a Fassbinder con un ottimo Denis Menouchet, il solido La ligne di Ursula Meier (la regista svizzera di Home e Sister), il melodramma storico Nana – Before, Now and Then dell’indonesiana Kamila Andini (figlia di Garin Nugroho) e il tedesco Rabiye Kurnaz gegen George W. Bush di Andreas Dresen, trascinato da un’esuberante madre di origine turca che lotta per la liberazione del figlio rinchiuso a Guantanamo nel 2002.
da Berlino, Nicola Falcinella