Berlinale 2020FestivalSlideshow

Berlinale 70: al Forum si distinguono le registe

Tre film diretti da donne, molto diversi tra loro che hanno contribuito a rendere Forum, come sempre, la sezione più interessante della Berlinale. Partiamo dal russo In deep sleep di Maria Ignatenko: la trama racconta di Victor, un giovane marinaio accusato di aver ucciso un collega di lavoro. Dopo una prima scena in tribunale il film torna indietro e ci racconta in maniera avvolgente il corso degli eventi che potrebbero aver portato a questo delitto. È tutto al condizionale perchè il film è nebbioso, si percepisce fin da subito la morte della ragazza di Victor e la sua disperazione. Noi spettatori, esattamente come il protagonista, a poco a poco perdiamo la percezione del tempo e dello spazio. La Ignatenko ci mostra un mondo gelido che sembra diventare un regno dei morti dove tutti dormono, alle fermate degli autobus, nelle case e per le strade. È tutto metaforico, silenzioso e fluttuante: vediamo le cose senza essere certi di cosa esattamente abbiamo visto, tutto in uno spazio ghiacciato ovviamente senza alcuna traccia di leggerezza. È la Russia di Putin?

Le petit Samedi di Paloma Sermon-Daï è invece un film più razionale e racconta una storia personale e familiare: Damien Samedi è il fratello della regista e vive in un paesino della Vallonia. Lavora di tanto in tanto come giardiniere e ha una relazione stretta con sua madre. La vita quotidiana nel villaggio, che ha visto tempi migliori, la natura tranquilla e amichevole di Samedi, l’ambiente rurale ancora in gran parte intatto, sono in netto contrasto con la dipendenza da eroina di cui Samedi ha sofferto per oltre 20 anni. Il film gioca con queste differenze tra l’ambiente gradevole e i traumi interiori, entra nel mondo del protagonista in modo discreto: la telecamera osserva le lunghe conversazioni con la madre o quelle con il suo terapeuta, e cerca così di raccontare questa dipendenza. Paloma Sermon-Daï, iniziando e finendo con filmati di famiglia, dirige un film sobrio che si basa sulla una relazione d’affetto tra madre e figlio. La regista è brava a non dire molto, non fa proclami e non inventa soluzioni, non fa neanche vedere troppa sofferenza, ma racconta la dipendenza del fratello-protagonista come convivenza individuale, familiare e sociale.

Ping jing – The calming di Song Fang è un altro film interessante che ragiona sulle percezioni. Lin è una giovane videoartista che ha appena rotto una relazione importante della sua vita. Non lo dice il film ma lo percepiamo piano piano, vediamo Lin che si butta nel lavoro andando prima in Giappone dove viene mostrata una sua installazione, poi a Hong Kong dove va a trovare un’amica. Viaggia sempre anche quando torna in Cina, prima per trovare i genitori e poi per traslocare in un nuovo appartamento. In tutti questi viaggi è praticamente sempre sola, la vediamo vedere città e paesaggi senza mai viverli fino in fondo: raccoglie materiale per un film, guarda fuori dalla finestra del nuovo appartamento, osserva una ragazza nello stesso reparto dell’ospedale dove va a fare gli esami. Ascoltiamo pochi dialoghi superficiali, spesso senza parole, leggendo comunque le emozioni sul suo viso. Ogni viaggio si confonde in quello successivo, treni, auto o barca, Lin osserva davanti a sé montagne innevate, città in trasformazione, paesaggi e pianure infinite. Un film sul guardare, sul pensare uno sguardo e sul cercare di vivere.

Claudio Casazza

Topics
Vedi altro

Articoli correlati

Back to top button
Close