Scelta coraggiosa quella di Carlo Chatrian di presentare in concorso Irradiés, il nuovo film di Rithy Panh, regista cambogiano che da anni indaga il suo paese, tra guerra e barbarie dei khmer rossi. Sono suoi due capolavori del documentario come S21: La macchina di morte dei Khmer rossi e il recente L’immagine mancante, quest’ultimo anche nomination agli Oscar 2014 nella categoria miglior film straniero, primo film cambogiano ad ottenere una nomination.
Il suo nuovo film è un’indagine sulla guerra che va oltre il suo paese, lo schermo è costantemente diviso in tre parti, a significare che ogni tragedia è unica, ma nella ripetizione delle immagini c’è quel rumore che non lascia scampo. Vediamo la Cambogia ovviamente ma anche il nazismo e gli orrori dei campi di concentramento, Mao e i campi di rieducazione, il Vietnam con le porcate americane, gli orrori dell’atomica in Giappone. Irradiésis è un film di montaggio, usa prevalentemente immagini d’archivio, di film conosciuti e non, e le accompagna con un testo che cerca di fare collegamenti non didascalici tra le immagini. Percepiamo molto grande cinema francese, ovviamente Resnais, ma anche Godard e Marker, ma anche Apocalypse Now e tanto altro. È il film di un sopravvissuto che prova a indagare con le immagini il senso delle guerre, cerca di comprendere le forme del male e come fare a superarle. Panh ci dice che il male si irradia a poco a poco, fa malissimo a chi lo subisce e si trascina pesantemente nelle generazioni successive. Nonostante l’accumulo di immagini e la musica fin troppo incisiva, Irradiésis è comunque un lavoro doloroso ed estremo che a tratti penetra negli occhi e nel cuore con una forza incredibile.
Una diversa consapevolezza dell’archivio ha Radu Jude con The exit of the trains, firmato insieme a Adrian Cioflâncă. Il regista rumeno – qui in Forum con il magnifico Tipografic Majuscole – da anni maneggia l’archivio e fa scelte sempre rigorose, aveva già realizzato pochi anni fa Dead Nation, un gran film composto esclusivamente da fotografie di una cittadina rurale rumena, che raccontava la sconvolgente persecuzione degli ebrei per mano rumena. Jude torna sullo stesso argomento e racconta un episodio poco conosciuto della storia patria: siamo nel 29 giugno 1941, gli ebrei residenti nella città di Iasi furono radunati e picchiati, negozi e case furono saccheggiati e la maggior parte degli uomini fu fucilata o ammucchiata sui treni, dove in seguito morirono di asfissia. Un pogrom a tutti gli effetti, e gli autori furono per la maggior parte poliziotti, militari e civili rumeni. Radu Jude e Adrian Cioflâncă optano per un approccio radicale: il loro film per due ore e trenta minuti elenca i nomi dei morti dalla A alla Z, illustrandoli con fotografie di passaporti e album di famiglia mentre in voce narrante scorrono le circostanze della morte e pochi elementi di storia personale. Per ogni vittima che vediamo sullo schermo, impariamo i destini di altre vittime, le mogli, le madri e le sorelle delle persone morte quel giorno. Il pubblico può facilmente riempire gli spazi vuoti del racconto. Attraverso la ripetizione e l’accumulo i registi rumeni rendono così tangibile le atrocità di quel giorno e rendono chiaro il numero di vittime: 13.000, tredicimila in un giorno. Il finale è esclusivamente composto dalle fotografie del pogrom, terribili e mute nell’orrore che rappresentano. Così facendo Jude e Cioflâncă ci restituiscono tutta l’entità della tragedia, The exit of the trains diventa un film fondamentale in un periodo come quello di oggi, pieno di negazionisti e nuovi orrori.
da Berlino, Claudio Casazza