Verso fine festival arrivano i due migliori film della Berlinale 2019, entrambi presentanti in Forum. Il primo è un film rumeno Monștri – Monsters diretto da Marius Olteanu alla sua opera prima di lungometraggio, prima di questo film aveva realizzato solo cortometraggi. Racconta di Dana, una giovane donna, che torna a Bucarest, prende un taxi alla stazione ma poi paga il tassista per tutta la notte perché decide di non tornare a casa. Allo stesso tempo, nella stessa notte, Andrei va in palestra e poco dopo va a casa di un uomo e ci farà sesso. La mattina dopo, Dana e Andrei si incontrano nel loro letto matrimoniale e trascorrono la giornata insieme.
Si tratta di un dramma relazionale diviso in tre capitoli, è girato in modo straordinario e fa trasparire lo status emotivo di una coppia nell’arco di 24 ore. Non si tratta solo di un racconto psicologico, è un piccolo film in grado di catturare in modo mirabile degli stati d’animo e l’atmosfera di una relazione che sta per finire. Tutta la prima parte con la conversazione tra Dana e il tassista è cinema puro, non è approfondita ma gli sguardi, le pause, le sigarette ci dicono tutto. Siamo insieme alla solitudine di Dana che è palpabile in ogni suo piccolo gesto. Il film è triste ma nello spirito di molto cinema rumeno, da Puiu a Porombuiu, è pieno di improvvisa e surreale ironia. Le prime due parti sono girate con un formato 1:1 (il formato quadrato un po’ alla Mommy) e si concentrano su un uomo e una donna persi nell’introspezione. Al mattino invece la cornice si apre, il formato diventa il 16:9 e i due devono chiedersi se c’è ancora spazio per i sentimenti.
A Russian Youth di Alexander Zolotukhin è un’altra opera prima, il regista è russo ed è un allievo di Sokurov e dal film si vede: in una trincea della Prima Guerra Mondiale, un giovane ragazzo russo è preso in giro per la sua goffaggine, è un biondino insicuro tutto perso nelle sue lentiggini. Un attacco di gas da parte dei tedeschi sorprende i russi, tutti si provano a riparare dal gas con maschere e bende improvvisate ma lui non riesce, perderà la vista. Viene tenuto in prima linea e vive da cieco in mezzo alla guerra. Grazie al suo acuto senso dell’udito, viene schierato per ascoltare gli aerei nemici nei giganteschi tubi metallici che formano una sorta di sistema di allarme.
I colori sono sbiaditi, come se le immagini fossero di un’altra epoca, il film ha una pasta granulosa magnifica, è girato in super16 e poi gonfiato in 35mm e sembra davvero un film degli anni ’50, in molti ci hanno visto il cinema di Klimov. A poco a poco, i corpi sono al centro dell’attenzione: la camera e il montaggio sono al passo con il giovane cieco. La sua faccia è innocente, barcolla attraverso il campo militare, infastidendo gli altri soldati perché non riesce a vedere nulla dell’ambiente circostante. Un film sconvolgente e visivamente stupendo che però ha un dispositivo narrativo che lo rende ancora più interessante: la storia del soldato è alternata a delle riprese contemporanee di una prova d’orchestra delle Danze Sinfoniche e il Concerto numero 3 per pianoforte e orchestra di Sergei Rachmaninoff. Le prove non interrompono il flusso narrativo, la musica entra nel film e questo porta lo spettatore a uno straniamento notevole. Il concerto di Rachmaninoff è da sempre una prova importante per ogni pianista, uno dei più difficili da eseguire, simbolo di precisione tecnica e abnegazione. Ne esce una metafora molto potente sul sentire e non vedere: fondere la guerra vera e propria dei soldati con la guerra quotidiana contro i propri limiti dei concertisti è la via che ha scelto Zolotukhin in uno dei film più originali e visti in questa Berlinale. Un film tra l’altro molto importante in una Russia in prenda alle ambizioni bellicistiche di Putin.
da Berlino, Claudio Casazza