Sono passati in questi giorni nella sezione Panorama l’italiano Selfie di Agostino Ferrente e Midnight Traveler di Hassan Fazili, due film molto interessanti che fanno una scelta linguistica ben precisa: filmano solamente con degli smartphone. Il regista italiano racconta una Napoli poco conosciuta mentre il crudo documentario del regista afgano racconta il viaggio che lui e la sua famiglia hanno intrapreso per fuggire dai talebani.
Selfie parte dal caso del 16enne Davide Bifolco, ucciso a colpi d’arma da un carabiniere a Napoli nel Rione Traiano: Ferrente prova a capire di più delle circostanze che hanno portato alla morte di Davide, e per far questo deve entrare in un quartiere spesso ritratto con i classici stereotipi legati alla camorra. Il regista italiano cerca gli amici di Davide e incontra Pietro e Alessandro, due ragazzi che hanno abbandonato la scuola e vivono, con alterni risultati, facendo il barista e il parrucchiere. È un film sulla loro amicizia, il regista rivela il suo approccio fin da subito chiedendo ai ragazzi di raccontare il rapporto con Davide e il loro essere amici. Li equipaggia con un telefono cellulare e chiede loro di documentare la loro vita di tutti i giorni come un film “selfie”, che si tratti di andare in scooter, in spiaggia, uscire con gli amici o in bagno. Vediamo perciò un film sui loro occhi, non vediamo infatti mai quello che vedono i protagonisti, Ferrente li trasforma da oggetti in soggetti cinematografici e il cellulare cerca di essere specchio della loro realtà. È un film senza il controcampo, e ovviamente i due protagonisti sono complici, quasi autori del film stesso. La presenza di Ferrente ogni tanto si sente ma il meccanismo narrativo è probabilmente corretto in un’epoca piena di autonarrazione. Il risultato è un collage impressionante sull’adolescenza, sulle vite in cui non si vede il futuro, sul pregiudizio sociale verso un quartiere dimenticato, sulla rabbia e sul dolore, ma soprattutto è un film su una tenera amicizia giovanile in un mondo maschile in cui fuori regna la durezza.
Midnight traveler è invece un film necessario e straordinario. Già premio speciale al Sundance, racconta tre anni di vita del regista afghano Hassan Fazili e di sua moglie Fatima Hussaini, che insieme alle loro due figlie, Nargis e Zahra di 11 anni e 6 anni, fuggono dalla loro terra d’origine verso la lontana Europa in cerca di sicurezza. Il film parte dalla taglia messa sulla testa del regista Hassan Fazili dopo che il suo documentario Peace in Afghanistan è andato in onda in televisione in Afghanistan. Il film raccontava di Mullah Tur Jan, un comandante talebano che aveva deposto le armi in favore di una vita civile pacifica. Il comandante viene però brutalmente assassinato, e di conseguenza Fazili si trova immediatamente in pericolo, prende perciò la decisione di scappare.
Il regista, la moglie ma anche la figlia più grande usano i loro cellulari per filmare il loro viaggio: Tajikistan, Iran, Bulgaria, Serbia, Ungheria, percorrono tutta la rotta dei Balcani e traggono forza dal documentare la loro difficile situazione. Filmano la vita quotidiana, l’assurda immobilità del viaggiare o del restare fermi, filmano anche i confini che superano illegalmente, addirittura i trafficanti che chiedono soldi per farli passare. Un film pieno di sorprendenti colpi di scena, pianti e risate, sogno di libertà ma anche insensate aggressioni razziste. È un film senza filtri, la loro esperienza non è stata modificata e filtrata attraverso gli occhi occidentali.
È un film anche di domande per noi spettatori: è giusto filmare ogni momento drammatico o è moralmente sbagliato pensare a una buona scena cinematografica in mezzo alla disgrazia? Il regista risponde filmando, non potrebbe fare altrimenti, sia le gioie che le battute d’arresto, senza però mai perdere la sua umanità.
da Berlino, Claudio Casazza