Berlino 2015

Berlinale 2015: pronostici?

Il Festival del film di Berlino da parecchi anni non ha un vero favorito. Forse il più accreditato all’Orso d’oro della 65° edizione è El Club (comprato per l’Italia da Bolero) del cileno Pablo Larrain (nell’immagine in conferenza stampa), che mette insieme i temi sociali e politici sempre cari alle giurie pabloberlinesi e il valore cinematografico. E’ la storia di un gruppo di ex preti puniti per varie colpe e rinchiusi in una casa in un villaggio sul mare: l’equilibrio viene turbato dal suicidio dell’ultimo arrivato, dopo essersi trovato davanti un uomo che lo accusa di abusi sessuali. Un film di grande sapienza registica e di scrittura, che conferma il valore di primo piano dell’autore di Tony Manero, Post mortem e No. Tra i papabili, d’obbligo mettere il quartetto di grandi nomi in lizza: Terrence Malick (Knight of Cups), Werner Herzog (Queen of the Desert), Jafar Panahi (Taxi) e Peter Greenaway (Eisenstein in Guanajuato), anche se i primi due hanno diviso parecchio. Malick con un nuovo intenso, lirico monologo interiore per una star di Hollywood in crisi che pone tante domande sulla vita e l’amore. Herzog con un potente melodramma in costume in pieno deserto tutto al servizio di una sontuosa Nicole Kidman, che non si sottrae al confronto con Marlene Dietrich. Panahi si cala in testa il berretto con visiera da conducente di taxi e porta lo spettatore per Tehran, quasi in tempo reale, ironizzando e riflettendo sul suo contraddittorio Paese.
Reduce da Ottobre – I 10 giorni che sconvolsero il mondo il grande Sergej Eisenstein andò a Hollywood e poi in Messico per girare un film sostenuto dal romanziere Upton Sinclair: ne uscirono i “10 giorni che sconvolsero Eisenstein” raccontati da Greenaway con tante trovate visive (comprese sequenze alla Eistenstein), tra sesso, politica e critica dei costumi. Tra i grandi favoriti d’obbligo, anche il russo Aleksej German jr con Under Electric Clouds, felliniano ritratto della Russia contemporanea e prossima futura. Come già scritto in un precedente articolo, altro gran bel film è El boton de nacar, dell’altro cileno Patricio Guzman, ma è probabile che gli venga preferito il suo connazionale Larrain. Un salto di qualità l’ha fatto il romeno Radu vergine giurataJude, con un maturo affresco storico, Aferim!, classico e moderno insieme. C’è poi un gruppo di sorprese che potrebbero ambire a qualche premio, alcuni con un taglio un po’ esotico, che funzionano sempre a Berlino. Spicca il guatemalteco Ixcanul di Jayro Bustamante (anche questo acquisito per l’Italia), bello sguardo su una famiglia in un villaggio sulle pendici di un vulcano. Poi il polacco Body di Malgorzata Szumowska, rapporto tra padre magistrato e figlia anoressica con bizzarra terapista di mezzo. Può puntare più a un premio per uno degli interpreti l’inglese 45 Years di Andrew Haigh, dramma familiare della terza età con Charlotte Rampling e Tom Courtenay. Non all’Orso, ma a un piccolo riconoscimento può puntare ’ultimo presentato in ordine cronologico, Chasuke’s Journey del giapponese Sabu, un carosello metacinematografico tra un genere e l’altro, partendo dal paradiso abitato dagli sceneggiatori che scrivono il nostro destino. Non sembra avere grandi possibilità, per quanto sia stato apprezzato, Vergine giurata di Laura Bispuri con Alba Rohrwacher. Fuori dai giochi sembrano essere Nobody wants the night di Isabella Coixet, il peggiore del lotto secondo chi scrive, Diario di una cameriera di Benoit Jacquot, il cinese Gone with the Bullets di Jiang Wen, i due tedeschi Als wir träumten di Andreas Dresen e Victoria di Sebastian Schipper (tutto girato in un piano sequenza di oltre due ore, che potrebbe dunque ricevere un premio tecnico) e l’interessante vietnamita Big Father, Small Father and Other Stories di Phan Dang Di.

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