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Benedetta Follia. Incontro con Carlo Verdone, Ilenia Pastorelli e Luigi De Laurentis

20180108_123525_12Lo scorso 8 gennaio abbiamo incontrato Carlo Verdone, Ilenia Pastorelli e Luigi De Laurentis al Cinema Anteo di Milano in occasione della proiezione stampa del suo ultimo film Benedetta Follia. Durante l’incontro il regista ha avuto modo di raccontarci la sua gratitudine nei confronti di nuovi giovani collaboratori, come gli sceneggiatori Nicola Guaglianone e Menotti. Il cineasta prosegue con un inatteso tono serio discutendo liberamente del suo rapporto con il pubblico e della forte influenza della società contemporanea su di esso. Protagonisti anche l’attrice protagonista del film e il produttore. Riportiamo di seguito l’intervista completa.

Com’è nato il tuo coinvolgimento nel film e com’è stata la tua esperienza sul set di Carlo Verdone?
ILENIA PASTORELLI: “Un giorno Aurelio De Laurentis mi ha chiamata e mi ha detto «vieni che ho una sorpresa per te».  Io presi il taxi e arrivai in ufficio in aereo. Non mi aspettavo di trovare Carlo Verdone. Quando l’ho visto però è stata una sorpresa, un’emozione grandissima, perché sono sempre stata una fan scatenata di Carlo. So alcune delle battute dei suoi film a memoria, lo seguo da tantissimi anni e sono cresciuta con i suoi film”.

È stato difficile separare il mito con cui sei cresciuta da Carlo Verdone collega?
I.P.: “La cosa più complicata di tutte è stata non ridere mentre recitavo con lui, rimanere seria ad alcune sue espressioni che conosco a memoria. Quando lui reagiva ad alcune mie battute io volevo sbottare a ridere e quindi ho cercato di pensare a delle cose un po’ tristi ogni tanto. La difficoltà è stata anche fare un salto da spettatrice ad attrice, però Carlo mi ha aiutato tantissimo perché mi ha messo a mio agio. Mi ha dato tantissima libertà e fiducia.”

Sono quattordici anni che producete film di Carlo, com’è cambiato il vostro rapporto in questo lasso di tempo?
LUIGI DE LAURENTIS: “Io penso che dall’inizio sia sempre stato un bellissimo rapporto fatto di storie da raccontare a un grande pubblico. L’impegno è stato quello di dare una continuità a questo successo e ci riesce molto mettere grande passione per il pubblico. Quest’ultimo film ha avuto una lavorazione molto lunga, ci abbiamo messo quasi due anni, perché dovevamo trovare nuovi collaboratori che potessero ispirare Carlo e aiutarlo a fare qualcosa di nuovo e diverso. Guaglianone e Menotti quando sono arrivati hanno trovato subito un grande affiatamento, Carlo a sua volta si è trovato subito bene con loro perché sono gli sceneggiatori giusti, che vanno alla ricerca del pubblico qualsiasi genere loro scrivano. Questo è secondo me un ottimo atteggiamento per fare cinema oggi, per poter fare del cinema che convinca. Questi anni sono stati molto belli e questo film, oltre agli sceneggiatori, ha visto arrivare anche un nuovo montatore, un nuovo musicista, direttore della fotografia… Insomma il nostro lavoro insieme a Carlo è quello di trovare continuamente delle collaborazioni che possano arricchire, portare fonte d’ispirazione e cercare di rinnovarci sempre”.

Quanto è più difficile rispetto agli esordi far ridere la gente? Negli anni ’80, quando hai cominciato, lo scenario era completamente diverso.
CARLO VERDONE: “Oggi è molto più difficile far ridere la gente perché la società è cambiata, non c’è più il senso del ridicolo e questo già me lo diceva Alberto Sordi nel nostro ultimo pranzo. Aveva visto giusto secondo me. La società italiana ha perso una propria fisionomia e perciò bisogna pedinare gli italiani. Io la mattina, quando cerco di sfruttare al massimo il momento della colazione, mi fermo sempre dal giornalaio, benzinaio, fioraio, tabaccaio, macellaio, dal farmacista, etc. per vedere Roma e misurare un po’ la temperatura della gente che ha molti problemi. È cambiato molto, la gente è un pochino più arrabbiata, c’è meno il senso della battuta e un altro problema è che la società si è tutta omologata in qualche modo. E poi, gli ultimi avvenimenti come guerre e terrorismo internazionali hanno messo un po’ di malinconia, depressione. Quindi questo è una fatica per lo sceneggiatore e il soggettista perché quando vai a scrivere una cosa divertente sembra sempre di essere un po’ inadeguato, però bisogna combattere e avere la forza di ritirarsi su e continuare a raccontare la società in cambiamento. Dobbiamo soffermarci su delle debolezze, fragilità; dei limiti che vediamo e che mutano continuamente.
La gente è anche più sola ultimamente. Resa più sola dallo smartphone, dalla rete, e tutto questo rende tutto più delicato. Prima costruivo i miei film sui miei personaggi, adesso la storia è cambiata e quindi devo individuare una vicenda e poi infilarci dentro un personaggio e costruirlo in base a quella che è la storia. Il procedimento è completamente inverso, ma per me è fondamentale lavorare con giovani perché vuol dire energia, loro mi danno tanto dal loro dinamismo. In cambio, io do loro la mia esperienza di quarant’anni”.

Da dove nasce la sequenza onirica di ballo nel film? Quali sono i riferimenti?
C.V.: “Nicola Guaglianone andava su Youtube e si guardava la scena de Il Grande Lebowski.
«Eccolo là… Che vuoi fare?», «Vorrei fare una cosa però tenendo presente i fratelli Coen». Ci sono delle citazioni ma non ci trovo nulla di male! Nicola si è preso la licenza è ha dato un po’ una sterzata a quel realismo che caratterizza i miei film.”

Ilenia, come hai lavorato al suo personaggio?
C.V.: “Prima devo dire una cosa, Ilenia è l’attrice che ho meno diretto in assoluto nella mia carriera. Già il primo giorno sono tornato a casa è ho detto «io non le dico nulla domani, vediamo che mi combina » e in realtà non c’è stato bisogno di dirle nulla. L’ho trovata molto preparata: nei tempi, nelle pause, nella gestualità, era sempre precisa! Poco volte l’ho dovuta correggere. Questa sua spontaneità è un dono che lei possiede. Ha l’arte di nascondere l’arte, io non so…”.

I.P.: “Sono stata molto fortunata perché è un personaggio che Carlo ha scritto con Guaglianone e Menotti che sono gli stessi sceneggiatori di Lo chiamavano Jeeg Robot e quindi conoscendomi già sono riusciti a cogliere delle sfumature in cui io mi rivedo molto. Io, come anche per Alessia, ho fatto un paragone tra il personaggio e me. C’è quindi una condivisione, come se parlassi con un’amica raccontandole se mi è successa una cosa bella o una cosa brutta per capire quali sono i momenti che mi servono nel film. Così in una scena in cui devo piangere riesco a farlo. È bello questo lavoro perché riesci a tirare fuori delle cose che in tutta la vita hai nascosto, represso. Un lavoro che ti costringe a essere sincera con te stessa. Secondo me la recitazione è riprodurre dei sentimenti divertenti, dei sentimenti bui, dei sentimenti di rabbia e devi quindi per forza confrontarti con te stessa. In qualche modo al regista gli devi portare una tavolozza di colori e gli devi dire: «quale ti serve? Io ho questo, questo e quest’altro »”.

C.V.: “Dovete sapere che Ilenia è una ragazza piena di poesia, c’è della poesia nel suo lavoro. Quel qualcosa di tradizionale, di periferia bella, umana, sincera. Ogni tanto ha delle riflessioni molto profonde, piene piene di poesia. Io l’ho presa perché è una ragazza dinamica e molto forte, dietro cui c’è però un animo assolutamente poetico. Questo è quello che mi piace di lei”.

a cura di Samuele P.Perrotta

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