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Attenberg di Athina Rachel Tsangari

Il manifesto al femminile della Greek Weird Wave

Dopo ben quattordici anni dalla sua nascita, il 13 giugno 2024 è uscito, per la prima volta nelle sale italiane, Attenberg: il bizzarro film della regista greca Athina Rachel Tsangari, presentato in concorso alla 76esima mostra del cinema di Venezia, nel 2010 per l’appunto.

Per quanto discutibile possa risultare la scelta di un ripescaggio in sala di uno dei capi saldi della Greek Weird Wave – forse dovuto al successo di pubblico dei due ultimi film estremamente pop (per successo e mezzi, s’intende) di Yorgos Lanthimos – Tsangari ci offre un racconto meraviglio, stranissimo, disfunzionale, come solo quella corrente di cinema greco contemporaneo è riuscita e sa fare. Se la Greek Weird Wave nasce all’inizio degli anni 2000 dalle menti di registi come – tra gli altri – Lanthimos, la stessa Tsangari e Alexandros Avranas, il mondo magnificamente disturbato e disturbante prodotto da questi registi ellenici, raramente ha potuto svilupparsi in altre cinematografie.

Tornando però al film, Marina (Ariane Labed) è una ragazza che vive con il padre malato terminale (Vangelis Mourikis) in un paesino della Grecia. La storia è ambientata in inverno, il paesaggio è deserto e così lo sono i luoghi che frequentano i personaggi, gli hotel soprattutto. La sua unica amica, Bella (Evangelia Randou), è – al contrario di Marina – particolarmente spigliata ed esperta in ambito relazionale e sessuale. Marina passa la maggior parte del tempo guardando i documentari di David Attenborough (dalla quale storpiatura del cognome deriva il titolo del film), assimilando i comportamenti animali che vede, e incorporandoli, arrivando alla dislocazione più totale del suo corpo, alla dissociazione definitiva dei comportamenti e delle convenzioni proprie degli esseri umani (infatti, fu proprio Ariane Labed, quell’anno, a vincere la Coppa Volpi a Venezia per la miglior interpretazione). La protagonista vive in modo totalmente repellente la propria sessualità e quella altrui, fino a quando non incontra un ragazzo che le fa cambiare idea, un ingegnere che soggiorna all’hotel per il quale la ragazza offre il servizio di noleggio con conducente, un giovane Yorgos Lanthimos qui alla sua prima – e ultima ad oggi – apparizione davanti alla macchina da presa.

Attenberg è un vero e proprio gioiello dello ‘strambo’ cinema greco contemporaneo ma, allo stesso tempo, ne è manifesto: i toni freddi, la regia severa, le tematiche sociopolitiche accompagnate da personaggi disfunzionali, alieni, abitanti di mondi assurdi ma spaventosamente riconoscibili e vicini al nostro. La regia e la narrazione di questo film sono, ovviamente, figlie del loro tempo: il film viene presentato nel 2010, due anni dopo l’inizio della crisi economica che devastò il paese, e la desolazione dei luoghi vissuti dai personaggi non può che esserne metafora. Ne è metafora particolarmente rilevante anche la figura del padre di Marina: un uomo disilluso, ormai senza più speranza o fiducia nell’umanità, nella politica e nelle istituzioni. L’uomo, grazie all’aiuto della figlia, organizza tutto pur di poter essere cremato (pratica illegale in Grecia fino al 2006, attuabile però solo a partire dal 2016 anno in cui venne costruito il primo crematorio nel paese), ma con il progredire della malattia, è costretto ad allentare la sua presa su Marina che, senza la totale attenzione del padre, è libera di conoscere il mondo esterno, e l’altro, attraverso il sesso, una pratica che ha sempre trovato rivoltante, probabilmente a causa della visione nichilista e pessimista che il padre le ha trasmesso del mondo nel quale vivono. Marina, infatti, viene piuttosto rappresentata come un personaggio-ponte tra le diverse generazioni e sfaccettature che abitano la società greca contemporanea.

Bella, gelosa della rivendicazione sessuale di Marina, e Marina stessa, prodotto disfunzionale e affascinante di una società che non è mai riuscita a insegnarle le proprie rigide e – qui ci viene spiegato molto bene – assolutamente inutili convenzioni, sono due personaggi estremamente complementari per quanto opposti: la prima, sembrerebbe, integrata e a proprio agio; la seconda scomoda in tutte le situazioni, scomoda per lo spettatore, scomoda per chi la circonda. Forse, però, più di tutto il resto, Attenberg è un film di formazione: è la storia della presa di consapevolezza di Marina, del suo corpo, delle sue potenzialità (temi tanto cari a questa corrente cinematografica), della responsabilizzazione del sé, della presa di coscienza dell’egoismo degli esseri umani, ma anche – alle volte – della loro dolcezza e delicatezza. Perché sì, Marina è disgustata dall’altro, soprattutto dagli uomini, ma nel personaggio interpretato da Lanthimos trova un partner dolce e sensibile.

L’aspetto più drammatico e assolutamente riconoscibile con la nostra società contemporanea è la rappresentazione della condizione di prigionia nella quale le donne sono spesso costrette a vivere: causata da un partner violento o – in questo caso – da un padre cinico e pessimista, che crede che il mondo non valga la pena di essere conosciuto e che, per questo motivo, lo cela a sua figlia, per proteggerla… non ricorda forse un titolo molto recente? Forse proprio di un altro regista greco? È evidente, quindi, come temi che quasi quindici anni fa venivano affrontati dai registi di questa onda cinematografica non siano del tutto andati perduti: il rapporto delle nuove generazioni con il sesso, tematica centrale della poetica cinematografica greca, è una conseguenza del rapporto con la famiglia, e in particolare con il padre. I padri, non solo in Attenberg, ma pensiamo a Miss Violence, Dogtooth, o al recentissimo Povere creature!, sono figure estremamente patriarcali che, a causa del loro bisogno di controllo sui figli, ancor più sulle figlie, le estraniano dal mondo, provocando in loro un rapporto disfunzionale o comunque “socialmente non accettato” con il sesso, le relazioni e tutto ciò che ne consegue. Quello che sicuramente affascina di questa tipologia di cinema è l’universalità tematica, nonostante le ambientazioni e i riferimenti politici e culturali siano ben situati. In Attenberg, nello specifico, la crisi economica che ha devastato il paese non è lontana, né nel tempo, né nella memoria del suo popolo; così come la caratterizzazione dei personaggi risulta essere assolutamente attuale e contemporanea: se ci pensiamo, infatti, personaggi molto simili sono ritrovabili anche in titoli più recenti della Greek Weird Wave proprio perché il fulcro centrale di questa poetica è il racconto di un’umanità devastata, aliena a se stessa e agli altri, che fatica a comunicare e che non riesce ad adattarsi a un mondo che sembra ancora più disfunzionale e strambo dei personaggi che lo abitano.

Gaia Antonini

Attenberg

Regia e sceneggiatura: Athina Rachel Tsangari. Fotografia: Thimios Bakatatakis. Montaggio: Sandrine Cheyrol, Matt Johnson. Interpreti: Ariane Labed, Vangelis Mourikis, Yorgos Lanthimos, Evangelia Randou. Origine: Grecia, 2010. Durata: 97′.

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