Il sesto lungometraggio di Rodrigo Sorogoyen inizia con aloitadores che cingono un cavallo fino a immobilizzarlo. Una lotta cruenta, con corpi in torsione ripresi in ralenti, fino allo sfinimento, all’atterramento che paralizza la bestia. Il richiamo potente è alla tradizionale Rapa das Bestas galiziana, dove gli aloitadores lottano con cavalli selvaggi per domarli, cavalcarli e tagliare loro criniera e coda, affermando così la supremazia dell’uomo sull’animale. Non è un incipit che vuole farsi dimenticare e si impone come possibile chiave di lettura postuma, perché non è di animali da domare che racconta il film scritto da Sorogoyen e l’inseparabile sceneggiatrice Isabel Paña.
Due coniugi francesi, Antoine e Olga, si sono trasferiti in un paesino di poche case nella campagna della Galizia. Desiderano ristrutturare i ruderi sulla terra acquistata, trasformarli in agriturismo e dedicarsi a un’agricoltura biologica e sostenibile. Quando però un’azienda scandinava che si occupa di eolico propone l’installazione di enormi pale in prossimità del villaggio in cambio di un risarcimento in denaro alle famiglie proprietarie dei terreni, Antoine e Olga si oppongono con decisione, non tanto per la cifra promessa, che ritengono comunque bassa, quanto per il devastante impatto ambientale che potrebbero avere le pale. Il voto contrario scatena una vera e propria faida: in particolare, due fratelli cominciano a intimidire i francesi con azioni sempre più violente. Dopo un’imboscata tesa dai due galiziani, il corpo di Antoine sparisce nel nulla. Inizia per Olga una ricerca disperata.
La memoria corre al film di Giorgio Diritti Il vento fa il suo giro, un’altra coppia francese in un territorio ricco di tradizione ma afflitto dallo spopolamento: l’Occitania. Le somiglianze sono però di superficie, come anche le eco americane che risuonano: Peckinpah, Boorman, Hopper avevano identificato lo scarto incolmabile non tanto tra wilderness e città, quanto tra piccole comunità contadine sempre più isolate (e povere) e società capitalista, rivelando un odio reciproco, represso e profondo. E come ne L’uomo di paglia o, per certi versi, in Un tranquillo weekend di paura e Easy Rider, anche nel film di Sorogoyen scorre del sangue, ma dopo un confronto dialettico impossibile. Ad ogni latitudine i bifolchi non esitano a impallinare gli stranieri.
La Galizia di As bestas non è però l’America rurale e senza storia. Per i fratelli che vorrebbero liberarsi dei due coniugi c’è in ballo l’orgoglio di un popolo abituato alle invasioni: il più acuto tra i due, Xan, ricorda al francese Antoine che loro, i galiziani, non si sono fatti sottomettere dalle truppe napoleoniche che portavano trionfalmente, e a colpi d’arma da fuoco, gli ideali dell’Illuminismo ai contadini (e qui brilla la stella di Goya: le pitture nere, La fucilazione del 3 maggio – anche se l’epicentro era Madrid). Ci bevono su lo spagnolo e il francese, ma per sancire un’inimicizia che ha un solo sbocco, e non è un duello rusticano. Lo straniero viene provocato, tenta di difendersi, convinto che c’è un limite che non può essere valicato. Invece si sbaglia, e verrà immobilizzato come un cavallo selvaggio, ucciso e sepolto nel bosco. Ciò che non potevamo immaginare è che la svolta non avrebbe chiuso il film, ma ci avrebbe sorpreso a metà, trasformando Olga in protagonista.
Un film dal sistema binario dunque. Nel secondo atto non ci sono colpevoli da identificare, ma la domanda che genera il racconto è se e come Olga troverà il corpo del marito. Con la pazienza di una vedova che deve dare tempo al tempo del lutto, percorrendo tutte le mattine a piedi i sentieri del bosco, misura la perdita del marito amato consumando un rituale che è ricerca di verità, di giustizia. Sorogoyen e Isabel Paña consegnano il film a Olga, di cui si era già intuita la forza caratteriale, ma come spalla ideale delle convinzioni ideologiche del suo uomo; la sua dedizione è commovente, soprattutto quando arriva la giovane figlia, anche lei madre, che vorrebbe dissuaderla e riportarla in Francia. Invece la donna è ferma, decisa, e capisce che in un mondo meschino, dove le motivazioni sono ridotte a basse ambizioni (ma come si fa a dare torto a questi contadini senza futuro?), forse la soluzione non è nel confronto con il maschile. Olga si rivolge così alla madre dei due fratelli, una donna di pochissime parole, nascosta nell’ombra, ma il cui carisma trasuda da ogni inquadratura in cui fa capolino, anche sullo sfondo, defilata, sin troppo accomodata nelle retrovie per non sospettare che possa prima o poi venir fuori, come una donna di mafia che in avanscoperta ci manda i figli. C’è una tela fitta intorno alla madre, Olga se ne accorge, osserva, studia, non c’è più disperazione, sa che prima o poi la terra restituirà il frutto della sua semina. È una lotta testarda la sua, una lotta di madri, le uniche in grado – sembrano dirci gli autori – di generare futuro.
Sorogoyen dirige con talento, per tendere, tesissima, una corda narrativa che ci ricorda, dal primo all’ultimo minuto, che il sonno della ragione genera mostri.
Alessandro Leone
As Bestas
Regia: Rodrigo Sorogoyen. Sceneggiatura: Isabel Paña, Rodrigo Sorogoyen. Fotografia: Alejandro de Pablo. Montaggio: Alberto del Campo. Musiche: Olivier Arson. Interpreti: Denis Ménochet, Marina Fois, Luis Zahera, Diego Anido, Marie Colomb, Federico Pérez Rey, Luisa Merelas. Origine: Spa/Fra, 2022. Durata: 137’.