Il film si apre con didascaliche coordinate temporali e geografiche: siamo immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale in Cecoslovacchia al confine con l’Ungheria. Queste sono seguite da una citazione di I. B. Singer secondo cui il passato può tornare in una diversa forma nel futuro. Quest’ultima è la coordinata principale, il monito squisitamente ebraico di non dimenticare, di tenere viva la memoria perché il passato non solo costituisce il nostro presente, ma determina il nostro futuro.
Roberto Faenza con questo film ha detto di aver voluto parlare del dopo Shoah, di come si può tornare alla vita dopo la morte (ma l’olocausto era già stato tema del suo Jona che visse nella balena). Per farlo si è ispirato al romanzo Quanta stella c’è nel cielo di Edith Bruck (la B del titolo è un omaggio alla scrittrice). La protagonista della storia Anita, ragazza di origini ungheresi sopravvissuta ad Auschwitz, viene accolta dalla zia Monika che vive ormai in Cecoslovacchia con il marito Aron e il cognato Eli. Arrivata a Zvikovez Anita si accorge che il dopo lì è vissuto con il chiaro intento di dimenticare il prima o per lo meno di allontanare con tutte le forze il terribile passato. Monika per prima accoglie la ragazza con la stessa freddezza che ha con tutto ciò che rinvia al recente passato. Anita risponde invece a questa fredda distanza con tenacia; sentendosi isolata in questo nuovo ambiente affida infatti i suoi ricordi al suo diario attraverso cui dialoga con i genitori morti e al piccolo Robert, il cuginetto, che accudisce e a cui racconta dei campi di concentramento. Parla di sè in terza persona non tanto per prendere le distanze dalla storia quando per sostanzializzarla e darle forza. A questa tenacia però fa da contrappeso un’ ingenuità che pervade eccessivamente la sceneggiatura fino a farla risultare quasi fastidiosa. Questo si nota sopratutto nella storia d’amore tra Eli e Anita che, dopo quello della relazione con il passato, costituisce il secondo polo del film ma che finisce per oscurare il primo. Anita si innamora di Eli che però non contraccabia i suoi sentimenti e addirittura quando lei rimane incinta vorrebbe che lei abortisse. Proprio questo evento le darà l’occasione di rinascita. Il film si riduce ad un racconto di formazione con pochi guizzi e molte ingenuità a cui si può riconoscere il merito di infondere un po’ di consapevole speranza, concentrata nell’ultima frase del film che accompagna la partenza di Anita per la Palestina: “Sono serena perché viaggio verso il passato con un solo bagaglio: il futuro”.
Camilla Mirone
Anita B.
Regia: Roberto Faenza. Sceneggiatura: Nelo Risi, Roberto Faenza, Edith Bruck. Fotografia: Arnaldo Catinari. Montaggio: Massimo Fiocchi. Interpreti: Eline Powell, Robert Sheenan, Andrea Osvart, Antonio Cupo. Origine: Italia, Ungheria, USA. Durata: 88’.