L’uomo che smette di stupirsi è vuoto, ha il cuore spento.
Ryszard Kapuściński
Ancora un giorno (Another Day of Life, regia dello spagnolo Raúl de la Fuente e del polacco Damian Nenow) è un film a tecnica mista: prevalentemente d’animazione, intarsiato di filmati d’epoca, narrato in prima persona (attraverso l’impeccabile doppiaggio italiano di Francesco Prando), a tratti si trasforma in documentario, sotto forma di interviste ai protagonisti tutt’oggi vivi, di fotografie e di immagini dell’Africa odierna. Il film è tratto dall’omonimo libro di uno dei più grandi reporter del Novecento, il polacco Ryszard Kapuściński, che nel 1975 assistette allo scoppiare della guerra civile in Angola, unico giornalista straniero rimasto nella capitale, Luanda, dopo la precipitosa fuga dei coloni portoghesi. Kapuściński lavorava allora per l’agenzia di stampa polacca e raccontò dei suoi mesi trascorsi in Angola in quello che rimase il suo lavoro preferito e più personale, Ancora un giorno appunto, edito in Italia da Feltrinelli.
Al crollare dell’impero portoghese, l’Angola rimase l’ultima colonia e divenne in breve tempo terra di sollevazione popolare contro il secolare dominatore straniero. Ma divenne soprattutto terra di scontro tra le due potenze della Guerra Fredda che, attratte dai suoi diamanti e dal suo petrolio, la trasformarono nell’ennesima scacchiera di giochi politici e militari, generando una guerra civile tra fazioni angolane contrapposte che causò mezzo milione di morti. L’URSS si era schierata con l’MPLA, il Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola, sostenuto dal 90% della popolazione; gli Stati Uniti, dall’altra parte, si erano schierati con l’FNLA, il Fronte Nazionale di Liberazione dell’Angola, e l’UNITA, l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola.
Dalla capitale Luanda, in cui nel 1975 regna la più totale confusão – parola chiave del film che sta a significare, in portoghese, la confusione, il caos, l’anarchia, il disorientamento assoluto -, Kapuściński è deciso a spostarsi a sud, verso il fronte più caldo della guerra, quello al confine con la Namibia, attraverso la quale il Sudafrica sta inviando truppe in sostegno dell’FNLA. Sono strade disseminate di uomini, donne e bambini uccisi quelle che Kapuściński percorre con l’amico reporter Artur, che lungo quei chilometri «perse per sempre la pace»: interi villaggi sterminati dall’FNLA. E sempre lungo quelle strade Kapuściński incontra Carlota, la migliore combattente dell’MPLA, il volto dell’Angola, una garanzia di vittoria col kalashnikov.
“La povertà non ha voce, ha bisogno di qualcuno che parli per lei” recita una frase del libro: ed è per Carlota, e per le migliaia di vittime di quella guerra, che Kapuściński vuole parlare, scrivere e ricordare quello che ha visto, perché quei volti, quei gesti e quegli eventi non vadano perduti per sempre nell’oblio della storia, annegati ieri in un mare di terra come oggi in un mare di acqua. «Fai sì che non ci dimentichino» è la richiesta di Carlota, «forse un giorno leggerò qualcosa su di me»; «scattami una foto, ferma questa immagine, questo era il volto che avevo quando ero vivo», è la preghiera muta di tutti gli altri: tu giornalista, tu Kapuściński, puoi fare in modo che il mondo si ricordi di noi, e regalarci ancora un giorno di vita (another day of life).
Ancora un giorno è dunque il racconto della nascita del Terzo Mondo, come dice Kapuściński stesso, ma è anche una grande riflessione sulla figura e sul ruolo del giornalista nella Storia: quando arriviamo noi, cambiamo gli eventi? Si chiede il protagonista per tutta la durata del film. Possiamo cambiare il destino degli individui e del popolo, possiamo evitare che le persone muoiano? E la risposta è sì, terribilmente sì; ed è solo dandosi questa risposta, assumendosi la responsabilità del proprio lavoro e al contempo della propria umanità, che il giornalista e uomo Kapuściński potrà compiere la scelta giusta nel momento più decisivo del conflitto, scrivendo con parole mute un pezzetto di Storia mondiale.
Il film ha vinto il premio come miglior animazione agli European Film Awards 2018 e ai Goya 2019; le animazioni che rievocano la storia del 1975 sono però a tratti interrotte dalle interviste ai protagonisti di allora risparmiati dalla guerra: gli angolani Artur e Luis Alberto, Farrusco, il grande comandante, sentinella dell’ultimo avamposto meridionale per la libertà, ex paracadutista portoghese scelto, passato all’MPLA subito dopo il suo arrivo in Angola a soli 24 anni, perché destinato a stare dalla parte dei più svantaggiati (sue sono le parole un altro giorno di vita, reporter!).
Tra un’intervista e l’altra, tra le fotografie originali di Kapuściński e psichedeliche animazioni di sogni e incubi, paure e ricordi, le immagini dell’Africa di oggi mostrano chilometri di terra rossa e vasti cieli di nuvole in movimento, a ricordarci che è su quella stessa terra e sotto quello stesso cielo, estremamente veri e concreti, che la confusão della guerra generò un milione di sfollati e 500000 vittime.
L’11 novembre 1975 l’MPLA dichiarò l’indipendenza dell’Angola: sembrò la nascita di un’Africa senza neocolonialismi.
Il conflitto finirà effettivamente solo nel 2002.
Una domanda riecheggia sul finale del film: «Dove sono i miei fratelli senza fame?», mentre sullo schermo scorrono le immagini di una nave in rovina incagliata su una spiaggia; una nave di nome Karl Marx.
Giulia Tiziani
Ancora un giorno
Regia: Raúl de la Fuente, Damian Nenow. Sceneggiatura: Raúl de la Fuente, Damian Nenow, Amaia Remirez, Niall Johnson, David Weber. Fotografia: Raúl de la Fuente, Gorka Gómez Andreu. Montaggio: Raúl de la Fuente. Musiche: Mikel Salas. Origine: Polonia/Spagna/Germania/Belgio/Ungheria, 2018. Duarta: 80′.