Emma (Elena Radonicich) sa che la sua vita non sarà mai più la stessa dopo il piccolo Matteo, che nascendo impone la sua presenza, che chiede insistentemente attraverso i suoi vagiti alla madre un legame assoluto, fatto di carne e spirito. Emma rifugge lo sguardo della sua creatura, che lei non riesce ad accogliere come parte di un nuovo sé, ma che percepisce solo come causa di tutte le occasioni non colte ed assassino della sua danza. Perché in Emma c’è la rabbia di non poter ballare più, di non avere più tempo e di essere sola contro la legge della natura. Poi c’è l’anziana Pauline (Charlotte Rampling), tornata nella natia Torino per fare i conti con le ferite del passato, che conosce il dolore di Emma, il pozzo nero nel quale è precipitata la sua anima e dalla quale forse potrà aiutarla ad uscire.
La depressione post parto non può però essere rappresentata solo attraverso la fiction, così Alina Marazzi sceglie di aggiungere un coro polifonico di donne reali che hanno vissuto quel problema, che commosse si raccontano e svelano la loro parte più intima alla telecamera della documentarista milanese. Quello stesso obbiettivo che era servito alla Marazzi per riflettere sul suo trauma di figlia col bellissimo mediometraggio Un’ora sola ti vorrei e che aveva accolto il grido del gentil sesso sessantottino con Vogliamo anche le rose, ora funge da balsamo per quelle donne che si sentono spaesate e sole nella maternità. Alina Marazzi fa del suo film un luogo di raccoglimento senza giudizio, crea un rifugio nel quale tutte le paure sono analizzate e dove la mamma/donna perfetta esiste solo in una casa di bambola nella quale vive una famiglia composta da pupazzetti fatti in stop motion.
A seguire pubblichiamo una breve intervista fatta all’autrice di Tutto parla di te in occasione della sua presentazione del film al Filmstudio 90 di Varese.
Lei nei suoi film spinge i suoi personaggi ad estrarre, aprire la scatola che contiene i loro segreti più intimi e a condividerne il contenuto col pubblico. Come avviene questa magia?
È un percorso d’immaginazione e di scrittura. Questo film chiude la traccia iniziata dieci anni fa con Un’ora sola ti vorrei e, nonostante io ora sia anche madre oltre che figlia, degli elementi autobiografici persistono. La scatola con le vecchie bobine che Pauline apre in questo film è quella che io stessa avevo aperto per Un’ora sola ti vorrei, solo che l’azione è traslata su un altro personaggio.
Dove sta andando il film e dove speravi andasse quando l’hai concepito?
Io sto seguendo il film nelle sale e la reazione del pubblico mi sorprende sempre. Il linguaggio è complesso e la tematica è forte, forse addirittura respingente, ma anche a chi ne è più distante (gli uomini per esempio) il film arriva profondamente. Tutti vi trovano un pezzetto di sé, della propria vita e anch’io scopro ogni volta qualcosa di nuovo. Per me questo è davvero molto bello. Il film non ha una grossa distribuzione e starà poco nelle sale, ma credo e spero che abbia una lunga strada davanti a sé.
Lei è partita dalle interviste per arrivare alla fiction. Qual è stato il percorso?
Sono partita da moltissimo materiale documentario, ma poi ho convogliato in Emma gli aspetti più delicati, tutte le cose intime che una persona dice solo a se stessa. Volevamo una visione unica e soggettiva di tanti aspetti diversi che sono emersi.
Qual è stato il commento più strano che ha ricevuto?
Non saprei davvero, ma ci penso e te lo farò sapere.
a cura di Giulia Colella