Dieci anni senza Alberto Sordi non lasciano nostalgie penose. Non teme la morte l’artista che scava una traccia profonda, così profonda da incidere non solo nel territorio di competenza ma nell’immaginario collettivo di un paese intero. Tanto meno la morte lo consegna al passato con indifferenza, ammucchiando polvere su polvere fino a cancellarne la sagoma e il ricordo. Se fossero solo le commemorazioni degli “anni tondi”, per cui diventa obbligo dedicare venti righe su un quotidiano o un Alberto-Day televisivo, allora sarebbe alto il rischio di arrivare tra vent’anni con un simulacro che ha perduto due generazioni di pubblico. Invece, per fortuna, Sordi (come Totò e i De Filippo, Tognazzi, Gassman e Manfredi, ma più di questi) in televisione ci torna costantemente, senza pretesti, acclamato dall’attualità di un paese che
non vuole cambiare, come se rimanere un po’ mostruoso sia il colore che lo contraddistingue, facendone per sempre sfondo da commedia dell’arte. Se non è più tempo di italiani che fanno gli americani a Roma, parlano ancora la stessa lingua i giovani sfaccendati, i piccoli borghesi del boom o post-boom, i vedovi, i tassinari, i medici della mutua, i paladini del self-made-man del bel paese un po’ ipocriti e molto cinici. Questo perché la battuta folgorante non ha mai costituito la cifra stilistica nelle sue interpretazioni: praticata senza sforzo, è diventata parte di un congegno recitativo ben più complesso, teso all’identificazione di caratteri anche sgradevoli ma che, miracolosamente, attraevano (e attraggono) fino a un’inquietante identificazione. Mettere in fila i personaggi di Sordi, quindi, sarebbe come entrare in una sala con gli specchi deformanti e guardarsi sformati ridendo con angoscia.
Poi non fu solo maschera della nostra commedia migliore, che interpretò da protagonista, ma anche come regista. In punta di piedi, dalle prime comparse alla palestra del doppiaggio (Oliver Hardy su tutti), la radio e il teatro di rivista, passando dal mestiere registico di Mastrocinque o Mattoli, sono i ruoli che sfidano le etichette del genere che lo consegnano alla storia contemporanea dello spettacolo cinematografico e del costume, suo malgrado. Senza fare liste inutili e buttare via spazio, ma tanto per orientarsi: le macchine da presa giravano su ordine di Zampa, Comencini, Monicelli, Fellini, Risi, De Sica, Bolognini, Steno, e si potrebbe riempire una pagina di nomi illustri. Ma la decisione è presa: niente titoli a raffica o elenco di scene madri o frasi celebri o aneddoti che lo coinvolgono con i più grandi registi della nostra gloriosa storia del cinema del secondo dopoguerra: dieci anni dalla scomparsa di Sordi significa 2013, basta un click per farsi una mappa e orientarsi, per poi recuperare anche con casualità nel mucchio sterminato di film, tanto per farsi sorprendere da un gesto, un’espressione, una frase sfuggita, che diventa inedita e che potrebbe racchiudere un mondo. Se non è emozione questa!
Alessandro Leone