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Agnus Dei

agnus dei1Dopo Two Mothers (2013) e Gemma Bovery (2014), la regista francese Anne Fontaine torna dietro alla macchina da presa con un dramma di ambientazione storica tratto, così parrebbe, da una storia vera. Siamo in Polonia, nel 1945, pochi mesi dopo la guerra. Miseria, tristezza e povertà dominano il paesaggio settentrionale del medesimo orribile grigiore. Non c’è vita per le strade, se non quella disperata che si respira nelle locande di mezzanotte, non c’è allegria, non c’è speranza.
La Fontaine non fa un film di guerra, ma è come se lo facesse, e riesce forse a fare meglio di tanti altri registi che preferiscono l’azione al dramma, l’esibizione al sentimento. L’idea è infatti quella di rappresentare un orrore puro, sconfinato, così depravato nelle sue sfumature che non sarebbe bastata tutta la violenza di questo mondo per tratteggiarlo in modo più convincente della Fontaine: cioè lavorando per AgnusDei_2sottrazione, suggerendo anziché mostrando. Vittima prescelta un monastero di giovani suore, occupato dai russi durante il conflitto, usato come caserma ma soprattutto come bordello. Le donne, stuprate da un intero battaglione di soldati per giorni e giorni, ininterrottamente, sono quasi tutte incinte e necessitano di cure mediche. Ecco che sullo sfondo di questa incommensurabile mostruosità, giunge una crocerossina (Lou de Laâge) a portare conforto in un luogo in cui il dolore ha superato ogni effettiva speranza negli uomini, e forse persino la fede in Dio. Il rapporto è conflittuale, in parte per le difficoltà linguistiche (francese lei, polacche loro), in parte per il senso di vergogna e peccato che la violenza ha instillato alle donne.
Il gusto della Fontaine è europeista, essenziale, rigoroso. Il suo non è cinema intellettuale, non ha la povertà di messa in scena dei Dardenne, non ha la ricchezza barocca di un melodramma storico. Sta nel mezzo, semmai, in quel territorio che forse sarebbe più corretto definire del sentimentalismo, cioè esistenzialismo in chiave moderna e femminile. Camus ha scritto La peste, la Fontaine lo omaggia con una storia di suore che attendono non la morte, ma la dannazione, e attorno alla quale non sembra esserci spazio per altro. Certo c’è la speranza, perché in fin dei conti stiamo parlando di una pellicola in salsa rosa, e questo è forse il suo limite. La Fontaine affonda nel dramma, lo analizza, lo sviscera da ogni punto di vista, con un attacco serrato alla vita, continuamente minacciata, violentata appunto, strapazzata da un principio maschile crudele e assassino. Ma poi diventa un po’ melensa, non troppo ma quanto basta ad annacquare la pietanza. C’è del buonismo, nel suo film, che rallenta l’esigenza di un dramma assoluto, che stempera ciò che sarebbe stato meglio sottolineare fino in fondo. E’ lo stesso difetto di Two Mothers, una sorta di pellicola speculare nelle due sezioni che la componevano, la trasgressione nella prima, il ritorno a un ordine subitaneo e immotivato nella seconda.

Per carità, è una scelta discutibile ma comunque dotata di una sua coerenza morale. Là c’era il sesso, qui la morte. Alla fine le suore partoriscono, com’è logico supporre, e ciò che ne sarà dei bambini sembra altrettanto logico. Invece no.

Marco Marchetti

Agnus Dei (Les innocentes)

Regia: Anne Fontaine. Sceneggiatura: Sabrina B. Karine, Anne Fontaine, Pascal Bonitzer, Alice Vial. Fotografia: Caroline Champetier. Musiche: Grégoire Etzel. Interpreti: Lou de Laâge, Agata Buzek, Agata Kulseza. Origine: Francia/Polonia, 2016. Durata: 100′.

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