Per ADHD s’intende un’anormalità neurochimica geneticamente determinata, che si manifesta in un deficit dell’attenzione correlato a iperattività. Nel corso degli ultimi anni questa patologia è stata diagnosticata con sempre maggiore frequenza nei bambini in età scolare e prescolare, soprattutto negli Stati Uniti, dove l’incidenza delle diagnosi sulla popolazione infantile ha raggiunto l’8%. Il ricorso a farmaci come il Ritalin, a base di metilfenidato, una sostanza associabile all’amfetamina, è diventato ormai una prassi comune negli USA, e sta cominciando a prendere piede anche in Europa, Italia compresa.
Gli effetti positivi della cura sul comportamento e sul rendimento scolastico sono attestati da indiscutibili studi scientifici, e tuttavia non possono essere trascurati alcuni pericolosi effetti collaterali, tanto a livello organico e fisiologico, quanto psichico.
Il documentario ADHD Rush hour, della regista napoletana Stella Savino, si immerge in questa drammatica realtà con grande disinvoltura, facendo la spola tra gli Stati Uniti e l’Europa alla ricerca di testimonianze dirette in grado gettare luce sulle complesse problematiche in gioco. Ciò che ne emerge è una netta contrapposizione – sia all’interno del mondo scientifico, sia delle famiglie coinvolte – tra i sostenitori delle cure farmacologiche e coloro i quali negano risolutamente l’esistenza stessa della malattia.
Benché orientata a denunciare la sovrastima del fenomeno, la Savino ha il pregio di mostrare le ragioni di entrambe le parti, spingendosi a descrivere metodiche d’intervento alternative, come il Summer Treatment Program, un campo estivo di impostazione cognitivo-comportamentista riservato ai bambini affetti da ADHD, la cui finalità è di migliorare le capacità di concentrazione e rendimento dei partecipanti attraverso la condivisione di regole comuni e un sistema di premi individuali a punti, volti a sedimentare nella psiche i concetti di gratificazione necessari per modificare il comportamento.
Ma al di là della diatriba tra schieramenti, che rischia di diventare più ideologica che scientifica, ciò che il film riesce a far emergere è il profondo mutamento valoriale in atto in seno alla cultura occidentale. Non occorre scomodare Michel Foucault per rendersi conto fino a che punto la psichiatria e le varie lobby di potere abbiano cercato nei secoli di categorizzare la normalità per biechi fini utilitaristici; o richiamare alla memoria Pasolini, per capire come il progresso tecnologico abbia modificato l’idea di performance e, con essa, i concetti di lavoro e di apprendimento, così da richiedere sempre maggiore specializzazione e competenza anche in quegli ambiti in cui, in passato, non erano richieste particolari abilità intellettuali. La verità tuttavia, è che la diversità fa paura a tutti, ed è più confortante relegarla nell’ambito della patologia, che considerarla parte costitutiva della natura umana. La negazione coinvolge tanto gli strati più alti della società quanto quelli più bassi, come evidenziano chiaramente le testimonianze delle famiglie protagoniste del documentario, le quali danno l’impressione di difendere le proprie posizioni pro o anti-farmaco sulla base dei medesimi stereotipi idealizzanti. Vi sono genitori, infatti, disposti a somministrare ai propri figli qualsiasi tipo di sostanza pur di renderli più performanti; ve ne sono altri, al contrario, che rifiutano le cure rintracciando nei disturbi comportamentali il germe stesso della genialità. «Cosa sarebbe successo a Einstein», afferma una madre intervistata, «se sua mamma gli avesse dato una pasticca e lui si fosse concentrato su una sola cosa alla volta?». Equivoci di questo tipo sono così radicati nella mentalità comune che persino la Savino sembra cadervi, specie nel finale quando, elencando una serie di illustri personaggi del passato, la cui infanzia sarebbe stata contrassegnata da gravi ritardi d’apprendimento, dà quasi a intendere che dietro a ogni bambino problematico si nasconda un potenziale Picasso o una Eleanor Roosvelt.
Si tratta però di sbandamenti momentanei. ADHD Rush hour ha, infatti, l’indiscutibile pregio di aprire un’indagine ad ampio spettro, offrendo importanti spunti di riflessione sulla nostra epoca, in cui, in un modo o nell’altro, l’identità personale è inseguita al limite delle capacità fisiche e psichiche, in una rincorsa spasmodica verso obiettivi spesso fuori dalla portata, che non creano soltanto falsi miti, ma privano altresì l’individuo del diritto sacrosanto alla mediocrità.
Manuel Farina
ADHD – Rush Hour
Sceneggiatura e Regia: Stella Savino. Fotografia: Alessandro Soetje. Montaggio: Roberta Canepa. Musiche: Walter Fasano. Consulente Scientifico: Stefano Canali. Origine: Italia/Germania, 2012. Durata: 76′.