Prendiamo Quella sporca ultima meta e La corsa più pazza d’America, oppure Un tranquillo weekend di paura e Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (Ma non avete mai osato chiedere). Burt Reynolds ciondolava con disinvoltura tra generi distanti, vestendo i panni del duro, del bello, del cinico, mettendosi al servizio di copioni drammatici e avventurosi, di thriller come di commedie. Aveva raggiunto l’apice negli anni ’70 e poi a cavallo degli ’80, ma è alla fine degli anni 90 che sfiora l’Oscar per l’interpretazione in Boogie Nights – L’altra Hollywood, capolavoro di Paul Thomas Anderson, quando ancora non era P.T. Anderson.
Mezzo irlandese e mezzo cherokee, Burt Reynolds prima di arrivare sul grande schermo passa dalla televisione (numerose apparizioni in decine di serie), dove tocca il cielo con Hawk l’indiano. Poi il cinema con registi del calibro di Boorman, Aldrich, Edwards, Fuller, Allen, Bogdanovich, Altman, dopo una breve gavetta (anche un film di Corbucci, che l’attore non ha mai amato). Diventa la star più pagata di Hollywood, le donne cadono ai suoi piedi. Springsteen lo cita in una canzone. Nonostante corra sangue misto, l’attore non diventa mai scopertamente paladino delle istanze dei nativi, lo spettacolo e il cinema lo avvincono, non fa politica. Da regista dirige quattordici film, da attore rinuncia a parti importanti, soprattutto dopo i primi anni 80, quando il fiuto lo tradisce e la presunzione gli impedisce di guardare oltre il personaggio. Tanti rimpianti, ma anche tante interpretazioni indimenticabili: su tutte il giocatore di football (sport che praticò con successo in gioventù) in Quella sporca ultima meta. Ma come non ricordarlo nel remake del film Truffaut L’uomo che amava le donne (I miei problemi con le donne di Blake Edwards) così in parte in un personaggio che in fondo gli somigliava. Tarantino lo aveva già scritturato per il suo imminente film Once Upon a Time in Hollywood, a 82 anni però il suo cuore non aveva tempo per altri ciak.
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