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La danza de la realidad: la sfida della distribuzione

I limiti, manifestandosi, possono suscitare un’improvvisa presa di coscienza. “Il mondo è come penso che sia, i miei mali arrivano da una visione distorta. Se voglio guarire, non è il mondo che devo cercare di cambiare ma l’opinione che ho di esso.”

la-danza-de-la-realidad1La danza de la realidad fu la proiezione di chiusura della Quinzaine des Réalisateurs al 66^ Cannes. Il suo tour promozionale però prosegue dopo un anno. Ancora una proiezione a Bologna il prossimo 29 ottobre. La fatica di una pellicola a tutti gli effetti surrealista, sgomitante contro l’industria cinematografica delle Major, nocive come le industrie inquinanti. Perché nel mucchio di film dedicati ai supereroi, adatti a bambini “idioti”, si trova il cinema di Alejandro Jodorowsky, quello che parla attraverso l’umanità.
Per la pellicola la sfida della distribuzione è ancora aperta. Il ritorno di Jodorowsky regista – a distanza di 23 anni – non è atto egocentrico né economico, ma terapeutico. Da sempre lo scrittore e artista sostiene che la finalità dell’arte sia curare. “Se l’arte non fa guarire non è vera arte“. Così Tocopilla, la città natale del regista ormai 85enne, si trasforma in teatro di posa. La necessità di rivisitare la sua immagine attraverso il ricordo.
Jodorowsky è alle prese con un’ autobiografia visionaria, alle spalle la scenografia cilena degli anni ’30. E tanta, tanta simbologia. Figlio di ebrei originari dell’Ucraina, descrive un padre devoto alla politica Stalinista. Accanto una madre premurosa, schiacciata dalla rigidità del compagno. I personaggi soffrono: tutti hanno provato sofferenza nella vita, è inevitabile parlarne. Se i pesci muoiono, i gabbiani sopravvivono mangiando, o comunque rallegrano gli uomini. E’ tutta una catena di sofferenza e felicità, in continua trasformazione. Bisogna decidere da che parte schierarsi. E le vicende raccontano di litigi cittadini, guerriglie nazionali, lotte famigliari.. vicende negative lette in chiave psicomagica.

“Il passato non è inamovibile, è possibile cambiarlo, arricchirlo, spogliarlo d’angoscia, regalargli l’allegria. Evidente che la memoria possiede le stesse caratteristiche dei sogni. Il ricordo è costituito da immagini immateriali come quelle oniriche. Ogni volta che ricordiamo qualcosa ricreiamo, diamo un’altra interpretazione agli eventi memorizzati.” Alejandro nel film raggiunge se stesso in cima a degli scogli ancora bambino. Quella volta voleva suicidarsi, per colpa delle scarpe rosse – causa della morte dell’amico. Abbraccia se stesso di fronte all’orizzonte e sussurra all’orecchio: “Ti assicuro che un giorno sentirai la felicità nella tua anima, io ne sono la prova vivente.” E dentro a quell’abbraccio è racchiuso il significato della pellicola: l’affetto che non ha mai ricevuto dal padre.
Gli attori sono i suoi veri figli, il primo gioco surrealista al confine fra realtà e finzione cinematografica. In prima linea Brontis Jodorowsky nei panni del padre Jaime – il suo vero nonno. “L’immagine che abbiamo dell’altro non è l’altro, bensì una sua rappresentazione. (…) Per noi, in un certo senso, l’altro è quello che crediamo che sia. Per esempio, quando avevo costruito  il burattino di Jaime l’avevo modellato nel modo in cui lo vedevo io, conferendogli un’esistenza limitata. (…) Anni dopo, studiando la stregoneria e la magia del medioevo, scoprii che questo fatto veniva sfruttato per danneggiare i nemici.” Nel film Alejandro concede a Jaime di intraprendere un viaggio, per uccidere l’odiato dittatore Ibanez. Un episodio mai accaduto nella realtà. L’atto è concesso nella finzione, a dimostrazione che quelle risposte non esistono. Rovescia in positivo, attraverso un compito per opposizione. Anche la madre Sara era stata umiliata: voleva fare la cantante, e l’avevano costretta a vendere in un negozio. La si fa cantare per tutta la durata del film, restituendole il suo sogno. Rimane però una madre che non agisce, ma che possiede tutte le risposte ai tormenti dei maschi di casa.
“Non va opposta resistenza ne bisogna fuggire dai problemi, ma entrare in essi, far parte di essi, usarli come elementi di liberazione.” Meglio ancora introducendo le figure dei tarocchi, tanto amati dal maestro surrealista – ancora oggi i fan si danno appuntamento a Parigi per assistere alle sue letture. La madre è la stella, il padre è il pazzo, l’ubriaca ad inizio del film è coppe..
Jodorowsky_La danza de la realidad (1)Ma chi proviene dalla lettura dell’omonimo libro non troverà una trasposizione. Mentre le righe scritte scorrono e attraversano buona parte della vita di Alejandro, i fotogrammi si concentrano sulla giovinezza in Tocopilla. Niente Messico, nessuna Parigi, solo la più fresca infantilità, ottimo terreno di rilettura dell’ autobiografia. Una rilettura ardita, a tratti kitsch per la stravagante modellazione della materia digitale.
E la frase che stupisce di più è: “Il cinema non è morto“. Spielberg sostiene che il cinema sia diventato televisione; Tarantino parla dei mezzi del cinema, morta la pellicola muore il cinema. Jodorowsky vuole avvertire che tutto è ancora vivo, se si è in grado di parlare dell’uomo. L’ Arte come specchio dell’anima.

Giulia Peruzzotti

La danza de la realidad

Regia: Alejandro Jodorowsky. Sceneggiatura: Alejandro Jodorowsky. Fotografia: Jean-Marie Dreujou.  Montaggio: Maryline Monthieux. Interpreti: Brontis Jodorowsky, Pamela Flores, Jeremias Herskovits. Origine: Cile, Francia, 2013. Durata: 130’.

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