Robert Weide è un documentarista e un fan di Woody Allen. Nel documentario Woody prova a mettere insieme professione e passione. Raccontare quello che si ama è una cosa il più delle volte complicata. Probabilmente c’entra il fatto che c’è da allestire una sfida tra l’ammirazione e una sorta di distaccato equilibrio. Weire quel tipo di sfida non la comincia nemmeno, e così Woody, invece che un documentario, finisce per trasformarsi in un omaggio, che può anche essere un prodotto piacevole, ma insomma, è un’altra cosa.
Weide affronta la carriera di Allen in ordine cronologico, ma sbilancia tutto sulla prima metà. Cammina, si potrebbe dire, fino a Hannah e le sue sorelle (1986) e poi si mette a correre, senza preavviso, fino a Match Point (2005). Probabilmente lo fa perché quello che gli interessa mostrare è il formarsi del talento di Allen. In questo senso, allora, si capisce la voglia di fermarsi dalle parti di Io e Annie (1977) e Manhattan (1979), perché è in quegli anni che Woody Allen diventa grande. E Hannan e le sue sorelle è la conferma di una maturità conquistata. Quello che manca è un’occhiata al periodo in cui il lavoro di Allen diventa più opaco. Ripetitivo, anche.
Non che Weide faccia finta che quegli anni non ci siano stati, è che ne parla quasi di sfuggita e, viene da dire, con il solo scopo di sottolineare la capacità di rinnovarsi che Match Point si porta dietro. Soprattutto in questo senso, Woody riamane un’occasione sfruttata a metà.
A controbilanciare questa parzialità dello sguardo, resta però la piacevolezza e l’immediatezza della visione. Realizzato riadattando in poco meno di due ore un lavoro molto più lungo (195 minuti) e destinato nella sua versione integrale al circuito televisivo, ne conserva inevitabilmente i modi, dalla fotografia patinata alle interviste rapide e sorridenti ad attori, tecnici e critici inquadrati un po’ di tre quarti. Non è un modo peggiore (né migliore) di fare le cose, è solo un altro modo.
Ci sono quasi tutti. Da Diane Keaton a Scarlett Johansson. E c’è anche Woody Allen, che parla di se stesso come ha sempre fatto, vergognandosi un po’ e con la faccia di chi non riesce a capire bene perché si faccia tanto chiasso per uno come lui. E finisce che è proprio lui ad abbassare i toni e a minimizzare.
Insomma, non è che bisogna per forza essere fan di Wodoy Allen per uscire contenti dalla visione di Woody, però aiuta, ecco.
Matteo Angaroni
Woody
Regia, sceneggiatura, montaggio: Robert Weide. Interpreti: Woody Allen, Penelope Cruz, John Cusack, Mariel Hemingway. Origine: Usa, 2012. Durata: 113′