Il 2014 rischia di essere ricordato come l’anno orribile per Hollywood. La morte di Lauren Bacall segue di qualche ora quella di Robin Williams, forse (forse) suicida.
La Bacall è stata una di quelle (grandi) attrici che hanno fatto la fortuna delle major americane. Aveva esordito nel 1944 con Howard Hawks in Aque del sud, al fianco di Humphrey Bogart all’apice della sua carriera e che sposerà l’anno seguente. Nel ’46, ancora con Bogart, ancora per Hawks, ancora sotto contratto con la Warner, sarà tra le protagoniste del capolavoro Il grande sonno. Lavorerà poi davanti alle macchine da presa di Michael Curtiz, di Vincent Minnelli (La donna del destino), di Jean Negulesco, in commedie gustose e frivole (Come sposare un milionario), confermandosi attrice versatile e per nulla legata a ruoli preconfezionati. Ci sono poi stati Lumet, Altman, Siegel (nel meraviglioso Il pistolero, con Wayne), anche la televisione.
L’unico Oscar lo ricevette nel 2009 ma fu un oscar alla carriera, alloro che suggella, certifica, a volte tardivamente, l’appartenenza dei divi alla pantheon hollywoodiano. Per noi la Bacall sarebbe potuta morire anche senza statuetta: la storia del cinema non si sgretola con la vecchiaia, i film trattengono l’eterna giovinezza dei protagonisti, le emozioni di un corpo e di uno sguardo che vibra fino allo spettatore restano impressi al di là del tempo. Lauren Bacall ammaliava. Anche a ottant’anni, diretta dal folle genio di Lars Von Trier.
Che donna!
Consiglio: leggetevi la prima delle due autobiografie scritte dall’attrice, Io, Lauren Bacall (1974, pubblicata in Italia nel ’79 da Mondadori).
La redazione