Ripetizione laconica di movimenti e gesti, ogni giorno, tutti i giorni, ancora: still.
In un ufficio pieno di fascicoli con la schematica storia di persone morte, ovvero quel che resta della loro vita, ancora: still.
Tutto immobile, silenzioso, fermo: still.
Eppure vita, ricerca della vita, nonostante tutto vita: still life.
La vita di John May (Eddie Marsan) ha due colori, il grigio dell’ufficio in cui lavora e il color mattone delle strade londinesi fatte di casette tutte uguali tra cui c’è anche la sua. Lo spazio del suo ufficio è scandito da una fredda serie di scaffali pieni di fascicoli relativi a persone morte di cui lui si è occupato. Il suo lavoro, infatti, consiste nel rintracciare i parenti delle persone che sono morte in solitudine (mestiere che ha catturato l’attenzione di Uberto Pasolini, dopo aver letto un articolo sull’argomento). Per il signor May il caso non è chiuso fin quando non archivia la foto di ogni persona nell’album fotografico che conserva a casa e che, paradossalmente, è l’unico segno di vita nel suo appartamento. Quest’ultimo è grigio e ovattato da un ordine maniacale, l’album è invece pieno di storie, colori e volti.
L’ inquadratura ci accompagna nella quotidianità di John e si riempie sempre degli stessi gesti e le stesse espressioni, sempre della stessa tonalità. Ci muoviamo con lui che sembra una delicata ombra che si aggira nei medesimi luoghi apparentemente immobili, come lo è anche la sua abitazione (un esempio sono le due tovagliette che giacciono sul tavolo della cucina su cui vengono appoggiati meccanicamente un piatto e una tazza, sempre gli stessi, sempre riempiti da un toast e una scatoletta di tonno).
L’essenziale vita del protagonista è fatta di dedizione e di precisione, mai vuote o fine a se stesse, ma segno della sua sensibilità che, non solo ha un notevole ruolo sociale, ma che coglie un bisogno fortemente individuale: l’importanza di essere ricordati.
Un’esistenza così sembra che non possa tollerare nessun cambiamento, perchè costruita su degli schemi ben precisi. Eppure un giorno al signor May viene comunicato che sarà licenziato a causa di tagli al personale, così decide di dedicarsi scrupolosamente all’ultimo caso: Billy Stoke trovato alcolizzato e morto nel suo appartamento. John parte alla ricerca delle persone che hanno fatto parte dell’esistenza di quell’uomo, che si scopre essere stata ricca di affetti e avventure, e si dona egli stesso alla vita, questa volta la sua: lo sguardo si apre su nuovi luoghi, colori e volti. Un approccio che non resta inosservato: qualcuno si rende conto che la sua rigorosa e diligente condotta nasconde una grande profondità.
Così John è pronto a spezzare quella catena di abitudinarietà (simbolicamente indossa per le prima volta un maglione azzurro), aprendo a qualcosa di inaspettato, che puntualmente arriva e lo fa uscire dal vecchio schema… sempre e comunque vita.
Camilla Mirone
Still Life
Regia e sceneggiatura: Uberto Pasolini. Fotografia: Stefano Falivene. Interpreti: Eddie Marsan, Joanne Froggatt. Origine: U.K.. Durata: 87’.