Dopo Venezia 70 un argine sembra essersi rotto. Col paese in briciole il cinema italiano riesce a trovare la capacità di ripensare alla realtà solo attraverso il documentario. Il Festival del Cinema di Roma è stato infatti vinto dal film di docu-fiction Tir di Alberto Fasulo. Ancora il tema è il passaggio attraverso l’autostrada come spunto per raccontare la vita e la quotidianità, punto in comune con Sacro GRA di Rosi, ma in quest’opera il senso cambia. Non si racconta di un autentico automobilista di tir, ma si chiede all’attore Branko Zavrsanuno uno sforzo di immedesimazione, guidando per tre mesi un tir. Il risultato è un ibrido e gli apprezzamenti della giuria, culminati con l’assegnazione del Marc’Aurelio d’Oro testimonia quanto i registi italiani siano sensibili al reale e alla vita attorno a loro stessi, ma anche il fatto che ci si blocchi spesso nel tentativo di riproporla attraverso la finzione. È come se, per un motivo o per un altro, la narrazione e il mondo della quotidianità non riuscissero quasi mai ad incontrarsi, persi inevitabilmente in quell’autostrada fatta dalla piccola storia e dalla grande storia.
Ma a testimoniare la vitalità del cinema di finzione, durante quest’ottava edizione del festival, ci hanno pensato i lavori arrivati dall’estero. Ad aggiudicarsi i premi per le migliori interpretazioni sono gli attori americani Matthew McConaughey, cowboy omofobo nella pellicola di Jean-Marc Vallèe, e Scarlett Johannson, che si spoglia del suo corpo e della sua sensualità interpretando solo con la voce il computer nel meraviglioso Her di Spike Jonze.
Premi Speciali della Giuria assegnati a Kurosawa, per la sua poliedrica opera SeventhCode, e a Quod erat demostrandum del rumeno Gruzsnisczky, favorito da pubblico e giuria.
In quest’edizione del festival a conti fatti si è riscontrato un incremento del numero dei partecipanti ai singoli eventi, complice anche la varietà dell’offerta, merito anche del direttore artistico Marco Muller.
da Roma, Giulia Colella