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Il tempo del Gattopardo

Il_gattopardo_ballo01È il 1958 quando esce il libro che cambia per sempre l’idea su cui si fondava la definizione di romanzo storico. Con Il Gattopardo si va a frantumare il concetto della storia come motore del progresso, inarrestabile flusso ascendente della civiltà verso l’utopia di un mondo migliore. Giuseppe Tomasi di Lampedusa rielabora la storia dei suoi avi fino ad ottenere un racconto fatto di angosciante e cruda disillusione. Per questo autore la vicenda risorgimentale è solo un esempio di come nella penisola italiana tutto sembri destinato alla perpetua immobilità, difesa anche a costo di sacrificare una classe sociale. Giudicato nostalgico ed amaro, a tratti addirittura blasfemo, il manoscritto viene ostinatamente rifiutato dalla maggior parte degli editori italiani ed alla fine è Giangiacomo Feltrinelli a pubblicare questo grande successo editoriale.

gattopardo5Subito dopo l’uscita Goffredo Lombardo ne acquista i diritti e ne affida la regia all’unico regista in grado di comprendere l’inquietudine che si prova nel trovarsi a cavallo tra due mondi e due epoche, ovvero Luchino Visconti. Nobile di nascita e comunista per scelta quest’autore trova nel romanzo di Tomasi Di Lampedusa terreno fertile per la convivenza di queste due anime ed ancor di più le rende sintomatiche di un tempo nel quale l’unica percezione è di decadenza. Punto di riferimento non è solo Il Gattopardo, ma ancora una volta il modello al quale Visconti guarda è il cosiddetto “Ciclo dei Vinti” di Verga, con particolare riferimento al testo Mastro Don Gesualdo, ma ancor di più Visconti sceglie di impastare la sua opera con La Recherche di Proust.

Lo sguardo diviene introspettivo, a raccontarsi è il Principe Fabrizio Salina, ultimo esponente di una nobiltà che sente sul proprio collo la stantia aria viziata di un cambiamento senza meta, di un’illusione rarefatta che è però sufficiente a spazzarlo via per sempre. Burt Lancaster interpreta questo gattopardo in via di estinzione, descritto come così forte da poter piegare una moneta con le dita, un gattopardo che guarda con invidia quasi il nipote Tancredi, pieno di entusiasmo e capace di districarsi tra le insidie del tempo degli sciacalli e delle iene. gattopardo3Sorridente e bellissimo si riesce persino a leggere nello sguardo di Alain Delon l’ambizione feroce di chi sa dove vuole arrivare e come arrivarci. Il Principe di Salina osserva, giudica e sostiene il gioco delle parti, quel teatro della rivoluzione che deve avvenire affinché tutto cambi perché tutto rimanga com’è. Lentamente si fa da parte e lascia il suo spazio vitale al borghese corrotto ed arricchito di turno ed organizza il matrimonio tra il giovane nipote nobile e la figlia del sindaco di Donnafugata il rozzo ma influente Calogero Sedara. I due giovani sposi divengono il simbolo perfetto della rivoluzione senza rivoluzione, così come l’aveva teorizzata Antonio Gramsci nel suo Quaderni del carcere e che Luchino Visconti ha già accarezzato nel ’54 con Senso.

A concludere questo passaggio di testimone è un’interminabile ballo (dilatato da Visconti fino ad occupare un intero terzo del film) nel quale il protagonista vaga solo in una sala piena di gente intenta nel far funzionare l’alveare civile. Dopo gattopardo2quel ballo nulla potrà mai più essere lo stesso, i vertici saranno riorganizzati e non ci sarà più posto per nessun gattopardo: la sensazione è che Visconti senta che nel cinema moderno non ci sia spazio per lui. Il dramma che quest’autore porta nel suo cinema non è esistenziale, come lo era per Fellini, è generazionale. Con questo lavoro e con quelli successivi Luchino Visconti sembra chiedersi se ci sia ancora ragione d’esistere per un raffinato letterato nei folli e rumorosi anni Sessanta. L’abilità risiede nel trasformare questa tragedia intellettuale in una rievocazione maniacale e sopraffina di un fasto passato che non può tornare. L’ostinazione nell’illuminare la scena solo con migliaia di candele e di cercare la perfezione assoluta nei dettagli scenografici e negli arredi mandano in fallimento la Titanus (che ha anche sulle proprie spalle il peso finanziario dell’eccessivamente costosa produzione di Sodoma e Gomorra), ma fornisce la cornice perfetta per un indimenticabile valzer tra il poderoso Principe di Salina ed la fintamente ingenua borghese Angelica, che come richiede il suo tempo, sa nascondere la sua ambizione sotto un vestito bianco ed il profumo di gelsomino. Eccola lì, fulgida nel suo splendore, la iena che il gattopardo aspettava e solo con una danza si può riuscire a suggellare l’incontro. Nel 1963 era Claudia Cardinale a rappresentare il futuro, noi cinquant’anni dopo ci chiediamo chi potrebbe incarnare, cinematograficamente parlando, il volto di falchi, colombe e pitonesse che dominano il nostro tempo.
Da godere prossimamente su grande schermo la versione appena restaurata dalla Cinteca di Bologna.

Giulia Colella

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