Ultima giornata di Festival: abbiamo recuperato qualche visione che non eravamo riusciti a mettere in programma prima.
Abbiamo iniziato con un film in Concorso Internazionale, Tomoqui del giapponese Shinji Aoyama. Vi si narra la tormentata vicenda di un figlio con un padre violento verso le donne, che si rende conto di avere dentro di sè degli istinti simili ai suoi. Questo lo terrorizza e lo mette completamente in crisi. La figura del padre è tratteggiata con cruda violenza, simboleggiata con una erezione mostrata che risulta quanto di più violento si possa immaginare. Il figlio ha dentro di sè un animo buono, ma cova odio puro nei confronti di un padre che ha umiliato sua madre e ora la nuova compagna. La violenza a cui anche lui cede non è frutto di istinto ma è reazione ad una situazione insostenibile. Le cose, poi, si complicano, fino ad una conclusione che lascia aperte più letture.
Della sezione Open Doors abbiamo visto 27 dakarguli kotsna, ovvero 27 baci non dati.
È una storia georgiana ambientata in un piccolo paesino dove arriva, per le vacanze estive una ragazzina di 14 anni che è tutto fuorché innocente. Dalla bellezza conturbante, dalla sensualità naturale, provocatrice e per niente inibita, la sua nudità sconvolge i più giovani come quelli più maturi. A “complicare” le cose la proiezione di Emmanuelle il famoso film erotico, che stimola ancora di più gli ormoni, e a onor del vero anche i feromoni, di tutta la comunità. La ragazza e’ però innamorata di un uomo di 41 anni che ovviamente non vuole cedere alle sue avances, anche perché già sposato e con diverse amanti al suo attivo. Alla pedofilia non ci vuole arrivare. Invece è il figlio di lui ad essere innamorato di lei, naturalmente senza speranza. Durante il film si ride tanto, la comicità e’ ben costruita. Il finale e’ amaro e tutto sommato rovina l’atmosfera leggera di tutto il film. Si esce con l’impressione di aver visto una operazione un po’ furba, il sesso attira sempre, che perde vigore man mano che il regista cerca di proporre momenti più seri.
Per la sezione Cineasti del Presente abbiamo visto Forty Year From Yesterday, un film che racconta la morte di una persona cara e i momenti che si vivono da quel momento a quello della sepoltura. Come risulta piuttosto evidente il tema è pesante. A morire è una donna che è moglie, madre e nonna. Il film descrive con minuzia certosina, in modo abile, tutte le emozioni, i momenti, le azioni che si vivono in quelle situazioni. Mostra il lavaggio e la vestizione del corpo, mostra il dolore del marito e dei figli. Mostra tutto. In modo gelido. Il film non riesce ad emozionare mai, troppo rigido, osiamo dire troppo conservatore. Non solo per le preghiere che il marito recita, ma anche per l’utilizzo, nel finale, di un neonato come segno di rinnovata vita e speranza. No. Non ci è piaciuto per niente, nonostante certe soluzioni tecniche e di ripresa pregevoli.
da Locarno Alessandro Barbero