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La religiosa

Sgombriamo il campo dai dubbi: il film di Guillaume Nicloux non è il remake de La religieuse (Susanne Simonin, la religiosa), girato da Rivette e uscito nel 1966. I punti di contatto inevitabili sono da rintracciare nel testo di Denis Diderot (incompiuto tra l’altro), che probabilmente non smette di esercitare fascino, sfidando il tempo e le trasformazioni sociali, a distanza di quasi 250 anni.

la religiosaSuzanne Simonin (cinquant’anni fa interpretata da Anna Karina, oggi da Pauline Etienne) è una bella sedicenne, fervente credente, cresciuta in una famiglia borghese e con un talento per la musica. La sua famiglia, che ha già sistemato in matrimonio altre due sorelle, decide di mandarla in convento. Accostarsi a Dio però non significa per Suzanne rinunciare alle ambizioni di una vita mondana. Le regole del convento le stanno strette, il noviziato è una lotta. Suzanne sente di non voler rispondere alle spinte della famiglia e della Madre Superiora, sicura di non avere la vocazione per la vita monacale. Respinti i voti una prima volta, è poi costretta ad abdicare. Refrattaria alle rigide strutture del convento, inizia a scrivere in gran segreto un diario. Suor Christine (Louise Bourgoin), provocata dalle sue istanze di libertà, la sottopone ad umiliazioni disumane, fino a quando, per opera di un cardinale, la ragazza viene trasferita in un altro convento. Questa volta la Superiora (Huppert) si innamora di Suzanne, cercando costantemente le sue attenzioni.

Nicloux ricostruisce, così come fece Rivette, l’austera atmosfera dei conventi, trovando in Germania le location giuste e lasciando allo scenografo Olivier Radot il compito di rendere vitali gli ambienti monastici. Così, evitando lo stereotipo delle cellette come gabbie di un carcere, il regista cala il suo personaggio in un contesto che non obbligatoriamente evoca oscure prevaricazioni sulla persona, ma che diviene soffocante unicamente per Suzanne, consapevole di non potersi adeguare alle norme costrittive imposte dalla “regola”, di non poter rispondere alla chiamata del suo Dio vestendo l’abito, individuando come unica e possibile strada al contrario l’immersione nel mondo. La comprensione delle cose per Suzanne deve passare attraverso l’esperienza, che non significa discutere la sua fede, ma rafforzarla.
Le figure delle Madri si risolvono in un autentico caleidoscopio di caratteri: dalla madre vera (amorevole ma a sua volta costretta a confinarla contro la sua volontà) alle tre monache che segnano il percorso di Suzanne: una, anziana comprensiva ed empatica (vera maestra di vita); la seconda, un’aguzzina sadica; la terza, lesbica e possessiva. Tre fasi di un cammino ad ostacoli e che sembra immagine_la-religiosaprefigurare il baratro quale unica soluzione finale. E infatti nel film di Jacques Rivette la protagonista sceglieva il suicidio come solo atto liberatorio. La Suzanne di Nicloux invece sembra rigettare costantemente quel finale, resiste anche nella disperazione, sembra allargare, sbracciando, ogni inquadratura in cerca di una via di fuga. Intelligenza e capacità dialettiche ne fanno un’eroina moderna, simbolo di ogni donna prevaricata da sistemi coercitivi (Chiesa, famiglia, mondo del lavoro, non fa differenza). La prima cerimonia per i voti si trasforma in un abiura senza precedenti, una sofferto NO pronunciato nella convinzione di non poter tradire Dio e se stessa, mentendo sulle sue reali aspirazioni. Un NO coraggioso, contro corrente, per questo rivoluzionario.
Interessante in tale contesto che una società omocentrica come quella settecentesca francese (sulla via dell'”illuminazione”), trovi comunque negli uomini, comprensivi e di buona volontà certo – diremmo proprio illuminati al di là delle cariche che ricoprono – l’applicazione di una giustizia laica, improntata sul rispetto per l’individuo.

Nicloux interpreta Diderot (il cui anticlericalismo e pure giustificato da esperienze personali) e lascia che sia la sua splendida protagonista a dettare il finale del suo racconto: pazientemente sembra attenderla, dopo ogni bivio, dopo ogni ostacolo, permettendosi qua e là esplorazioni private sui corpi antagonisti, più che sul corpo di Suzanne (sempre rispettato, anche nella sua nudità), soprattutto i volti delle Madri, intercettandone gli sguardi, quasi a sfidarli (l’inusuale sguardo in macchina). Il pubblico è così chiamato alla partecipazione, alla condivisione, stretto nelle maglie gelide di un meccanismo che attraverso il rito e la preghiera soffoca l’individuo. Forse la scelta dell’avvenente Louise Bourgoin nei panni della sadica Suor Christine penalizza un lungo segmento di film, ma tutto sommato la prova della Etienne basta e avanza.

Vera Mandusich

La religiosa

Regia: Guillaume Nicloux. Sceneggiatura: G. Nicloux, Hérome Beaujour. Fotografia: Yves Cape. Montaggio: Guy Lecorne. Musiche: Max Richter. Interpreti: Pauline Etienne, Isabelle Huppert, Louise Bourgoin, Francoise Lebrun. Origine: Fr./Ger./Belgio, 2013. Durata: 114′.

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