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Le streghe di Zombie!

streghe locaTremate, tremate, le streghe son tornate. Forse non quelle di Salem, il cui ricordo rimorde ancora la coscienza puritana a stelle e strisce, così indelebilmente macchiata nel diciassettesimo secolo da animare tutt’oggi dibattiti, conferenze e volumi a carattere storiografico e speculativo sulle persecuzioni nel nuovo mondo; e forse nemmeno quelle che pullulavano in secoli ancor più antichi nei macabri sabba favoleggiati al plenilunio, tra menadi danzatrici, anilingus caprini e orge teriomorfe. Piuttosto sono le sibille di Macbeth, che anzitempo profetarono la morte di Duncan e la fluttuazione della foresta di Birnan, a rivolgersi, tra calderoni, magie e puerpere sventrate, alla bellissima Sheri Moon Zombie, biondiccia ammogliata al superbeasto Rob. A lei, e soprattutto alle sue stupefacenti natiche, scoperte a tre quarti per un buon minutaggio, e ai suoi tatuaggi pittati, i dreadlocks e gli occhialoni à la Anastacia, che la rendono più un arzigogolo di sensualité féminine anziché una semplice disc jockey, qual è nella pellicola. La giovinetta callipigia, pur con scaramucce di droga alle spalle, fa il suo stramaledetto lavoro in una stazione alternativa, dove circondata dai suoi compagni di merende, il barbuto Jeff Daniel Phillips, l’interprete feticcio Sid Haig e l’archetipico Ken Foree (quello di Zombie), è costretta a fare i conti con un disco in vinile, inciso dai Lords of Salem, dal sound molto incasinato e disturbante. E infatti, appena le sue note metalliche e frastagliate piovono in radio, la donna è preda di raccapriccianti e incontrollabili visioni luciferine, fatte di tutto quello che prima di questa sulfurea pellicola era appannaggio pressoché esclusivo dell’acido lisergico.le streghe2

Il Tarantino dell’horror, con già in curriculum geniali pasticciacci a base di kitscherie tra le più scalcagnate, appronta una sinfonia barocca tutta traboccante di cascami sapientemente arrangiati, strumenti distorti, sonorità alterate e piene di intercapedini e meravigliose brutture. Ecco che Sheri è portata al sabba, non a cavallo di una vecchia scopa, né con l’ausilio di unguenti e medicamenti, bensì attraverso la porta di un appartamento un po’ retrò affrescato di poster di Méliès, sintonizzato su classici b-movie, infestato nottetempo da tanti fulciani dottor Freudstein con incursioni estemporanee nel cinema che fu: i riferimenti, buffoneschi, audaci, coltissimi al contempo, si sprecano tra occhiolini compiaciuti a La mosca, Rosemary’s Baby, il già citato Macbeth e tutta la venerabile tradizione della paura, fino a giungere al Bernini del Male, ovvero gli imenei tra Sheri e Satana; una piccola san Pietro in onore del peccato e della cupidigia si apre dinnanzi allo sguardo abulico della vittima, tutta pitturata di biacca e mesmerizzata dalle maliarde, mentre un pinguino scorticato e rosato, partorito dalle farneticanti ebbrezze di un Brian Yuzna o di uno Stuart Gordon, le allunga due tentacoli fallici che la giovane afferra stordita per esserne presto ingravidata.le streghe

Ma è solo un assaggio, perché Rob, rockstar manierista di grande levatura visiva, musicale e letteraria, infarcisce la sua nona dell’immagine sbandierando riprese tra LaChapelle e Serrano, con madonnine infilzate e dagli occhi rovesciati, ginecei nudisti e deliri psicomagici rubati a Jodorowsky, costruzioni scenografiche pop al confine col blasfemo, tra cui zombi-sacerdoti che si masturbano, nonché un prete che costringe l’indifesa partoriente a una fellatio nella casa del Signore. Ma facendo le cose in grande, l’ambiziosissimo Rob pecca di onniscienza tuttologica, e cade spesso, troppo spesso, nelle maglie di una sceneggiatura risicata, per non dire inesistente: l’accuratezza maniacale per il dettaglio lesina ahinoi in compiutezza di scrittura, e tra una perla e l’altra, tra un intaglio e il successivo, resta una plumbea noia a rabbuiare il tutto. Detto in termini plebei, non succede niente di interessante per l’intera durata della pellicola, e non bastano un’ottima regia (che gusto per l’immagine!) e un azzeccatissimo accompagnamento musicale (autori lo stesso regista, Griffin Boice e John 5 dei Marilyn Manson) a riscattare il film; banali i personaggi si abbaruffano tra loro, chi berciando, chi girovagando (Bruce Davison, a che serve costui?), accapigliandosi alla ricerca di una sistemazione, finanche in una nicchia, in un’alcova, ovunque la loro funziona sia giustificata. Decisamente meglio le tre norne, Patricia Quinn, Dee Wallace e Meg Foster, tutta gente riciclata dal bel cinema di una volta e che, chissà perché, quando vestono abiti borghesi ricordano moltissimo gli interpreti provinciali e cattivotti di American Horror Story, prima serie.

Marco Marchetti

Le streghe di Salem

Regia: Rob Zombie. Sceneggiatura: Rob Zombie. Fotografia: Brandon Trost. Montaggio: Glenn Garland. Musica: Griffin Boyce, John 5. Interpreti: Sheri Moon Zombie, Bruce Davison, Ken Foree, Sid Haig, Patricia Quinn, Dee Wallace, Jeff Daniel Phillips, Meg Foster. Origine: USA, UK, Canada. Durata: 101′.

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