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I giganti che hanno illuminato la Berlinale

Le ultime grandi opere di Edgar Reitz e Želimir Žilnik

I grandi vecchi che riescono ancora a stupire sono state le note più liete della 75^ Berlinale chiusasi nelle scorse settimane e su cui vale la pena di tornare. È il caso del tedesco Edgar Reitz, il regista dell’impareggiabile Heimat, che a 92 anni ha portato in Berlinale Special il più bel film del festival, ovvero Leibniz – Chronicle of a Lost Painting realizzato con la collaborazione di Anatol Schuster e la partecipazione di Edgar Selge, Aenne Schwarz, Michael Kranz, Lars Eidinger e Barbara Sukowa.

Leibniz – Chronicle of a Lost Painting

È il 1704 e la regina di Prussia, Carlotta Sofia di Hannover, scrive alla madre Sofia per sollecitare il ritratto di Gottfried Wilhelm Leibnitz, con il quale è in corrispondenza ed è grande ammiratrice. Un modo, il quadro, per tenerne l’immagine vicina e rafforzare il dialogo ideale. Viene incaricato il pittore francese Delaladre, che prende l’incarico con sufficienza, si presenta con tele dagli sfondi già delineati dai suoi collaboratori cui c’è solo da aggiungere il viso del filosofo. Dopo qualche prova e discussione, Leibnitz, che dovrebbe indossare una fastidiosa parrucca scura, caccia l’artista. Lo rimpiazzerà la pittrice olandese Aaltje van de Meer, che si presenta in vesti da uomo, giacché le donne non erano ammesse nella corporazione dei pittori. La nuova ritrattista, quasi omonima di Vermeer, conosce il fatto suo e parte da tavole nere con l’idea di trarre la luce dall’oscurità e le citazioni di Rembrandt e Caravaggio sono più che pertinenti. Accade già nella scena iniziale dal sapore teatrale, con Carlotta che avanza dal buio per rivolgersi quasi allo spettatore con la sua missiva. Reitz realizza un film di parole e di immagini spesso fisse, quasi tutto d’interni dentro poche stanze del castello, ma mai statico, anzi va alla ricerca della luce che scaturisce anche dal pensiero. Aaltje filosofeggia e dialoga e duella con Leibnitz, senza soffrire timori reverenziali, mentre Cantor assiste. Che cos’è un ritratto? Si può mostrare ciò che è dentro la mente e trovare immagini alle riflessioni? Reitz cerca di rispondere ed è insieme l’artista e il filosofo, quello che ha sempre fatto in una carriera di sette decenni, concepisce un film pittorico che è quasi perfetto (mentre Leibnitz afferma con convinzione la perfezione di Dio). Reitz e Leibnitz entrambi tra gli ultimi nel loro campo: uno a cavallo tra ‘600 e ‘700 che univa le scienze nascenti e la tradizione umanistica anticipando la psicologia ancora agli inizi, l’altro tra ‘900 e primi 2000 a creare piccoli grandi (la Schabbach di “Heimat”, perfetto microcosmo) e raccontare un’epoca che si sta dissolvendo. Uniche divagazioni esterne, le passeggiate dell’emù nell’immenso giardino. Un tocco di assurdo in un film meraviglioso che parla dell’impossibilità, anche del ritratto, eppure sembra rendere le cose possibili.

Eighty Plus

Vinse l’Orso d’oro nell’ormai lontano 1969 con il dirompente Rani radovi – Early Works ed è tornato sempre brillante, acuto e ironico il serbo Želimir Žilnik. Il suo Restitucija, ili, San i java stare garde – Eighty Plus è stato presentato nel Forum degli indipendenti, attento alle novità ma pure ai vecchi cavalli di razza. Žilnik racconta dell’ex musicista e insegnante Stevan che aveva lasciato la Jugoslavia per trasferirsi in Occidente. Ultraottantenne, torna da Vienna nella regione rurale dello Strem per la restituzione delle proprietà di famiglia, confiscate dallo Stato di Tito dopo la Seconda guerra mondiale. Si tratta di una villa che era stata di nobili e dei terreni agricoli circostanti. Stevan si scontra con una burocrazia senza fine (comprese le visite all’uomo, vicini bizzarri e una figlia e un genere che vorrebbero i beni immobili. Il regista si immedesima nel suo personaggio, che può permettersi ciò che vuole in completa libertà e vuole togliersi delle soddisfazioni e filma in totale libertà, con tono lieve e giocoso, creando situazioni anche divertenti, senza perdere aderenza e serietà e criticando un po’ tutti, nel passato e nel presente.

Nicola Falcinella

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