Se i temi della maternità e della genitorialità hanno quasi monopolizzato il concorso del 42° Torino Film Festival, non potevano che dominare anche il palmarès. I premi sono stati consegnati nel corso della cerimonia di chiusura condotta dalla madrina Cristiana Capotondi. A seguire è stato proiettato Waltzing With Brando di Bill Fishman con Billy Zane nel ruolo di Marlon Brando, a chiudere idealmente la retrospettiva dedicata al centenario del grande attore di Un tram chiamato desiderio, Fronte del porto, Il padrino, Ultimo tango a Parigi o Apocalypse Now.
Il vincitore, decretato dalla giuria presieduta da Margaret Mazzantini, è il belga Holy Rosita di Wannes Destoop. Rosita è una quarantenne obesa che lavora in una grande lavanderia e nel fine settimana fa la steward allo stadio. È cresciuta all’orfanotrofio e, nonostante si dimostri gentile con tutti (soprattutto con i bambini del vicinato), non ha nessuno se non Magda, che chiama “mammina” e gestisce un chiosco. Quest’ultima vuole trovare un compagno alla protagonista e spesso invita qualcuno nelle loro abituali cene al ristorante cinese. La protagonista incontra però degli uomini e prova a restare incinta a modo suo, all’insaputa dei partner. Dopo che il test risulta positivo, la gioia e i dubbi si alternano, con Rosita che non sa a chi e come dirlo e cambia spesso idea sul da farsi, anche perché reduce da un aborto. Le cose sono complicate dai debiti e da un lavoro che non le dà abbastanza e non la soddisfa. La donna non sa se è pronta a fare la madre, ma non vuole che i servizi sociali le portino via il figlio, non vuole che si ripeta ciò che è successo a lei. Una storia coinvolgente di solitudine, inadeguatezza, abbandono, maternità e desiderio di riscatto. Una buona opera di debutto, tutta addosso alla protagonista, ottimamente interpretata dall’attrice Daphne Agten.
Nella selezione di 16 titoli, tutte opere prime e seconde, mancava qualcosa che spiccasse particolarmente. Oltre al tema ricorrente, i film erano contraddistinti da linguaggi abbastanza canonici senza grandi sperimentazioni e i riconoscimenti (tutti i film premiati saranno riproposti nella giornata di domenica) hanno rispecchiato abbastanza i valori in campo.
Il Premio speciale della giuria è stato assegnato al tedesco Vena di Chiara Fleischhacker, anche premio Fipresci della stampa. Anche questo con una protagonista presente in tutte le scene, la giovane Jenny incinta di Bolle, con il quale convive. I due sono quasi sempre fatti di metanfetamine e l’unica cosa che interessa alla ragazza sembrano le orchidee. Jenny ha già un altro figlio che vede sporadicamente, è in libertà vigilata e deve andare in carcere. Per assisterla, i servizi sociali le mandano l’ostetrica Marla, anch’ella tormentata e con i suoi problemi personali. Lo sguardo della regista è abbastanza definito, ma la vicenda è un po’ tirata per le lunghe.
Premio per la sceneggiatura al tunisino L’aguille di Abdelhamid Bouchnack, con una coppia costretta a decidere per il neonato intersessuale appena partorito. La pellicola ha fatto man bassa di riconoscimenti delle giurie collaterali, con il Premio Interfedi, il Premio Achille Valdata e il premio della Scuola Holden. A questi si aggiunge la menzione del tradizionale riconoscimento Occhiali di Gandhi, che è andato al palestinese From Ground Zero, presentato nella sezione non competitiva Zibaldone. Premi per l’interpretazione al cast femminile del danese Madame Ida di Jacob Moller, ovvero Flora Ofelia Hofmann Lindahl, Christine Albeck Børge, Karen-Lise Mynster, e a River Gallo per Ponyboi di Esteban Arango. Ponyboi è il soprannome di un giovane originario di El Salvador che vive in New Jersey dopo essere scappato dalla famiglia che non accettava la sua identità sessuale. Lavora nella lavanderia del piccolo boss Vincenzo e si troverà nei guai, anche a causa dei suoi comportamenti ambigui. Un classico film da Sundance incentrato su perdenti che cercano un posto nel mondo, tra dramma e un tocco di commedia.
Menzione speciale all’ucraino Dissident di Stanislav Gurenko e Andrii Al’ferov, uno dei più originali del concorso, molto curato ed elaborato formalmente. Dopo la fine del disgelo dell’epoca Krusciov, Oleh è rilasciato grazie a un’amnistia e torna a casa dalla moglie sarta Vilena. Si tratta di un reduce che aveva combattuto durante la Guerra mondiale sia contro i nazisti sia nell’esercito insurrezionale per l’indipendenza ucraina dall’Urss. Un film dai colori smorzati che ricostruisce un momento tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70 guardando ai decenni precedenti. Dissident, che riflette anche sull’essenza della dissidenza (e su questo dialoga con un’opera molto diversa come Limònov – The Ballad di Kirill Serebrennikov), sembra un antefatto di ciò cui stiamo assistendo oggi, andando alle radici della cultura ucraina, dalla lingua che in quel momento era sempre meno usata ai preti della chiesa greco cattolica che si nascondevano facendo gli operai.
Tra i documentari premio maggiore a Le retour du projectionniste di Orkhan Aghazadeh, girato sulle montagne tra Iran e Azerbaigian. Premio speciale all’egiziano The Brink Of Dreams di Nada Riyadh e Ayman El Amir e a I’m Not Everything I want to be di Klára Tasovská. Il primo è un buon lavoro ambientato in una comunità copta nel sud dell’Egitto, con un gruppo di ragazze che attraverso il teatro si ribellano a un destino già segnato e mostrano di essere molto consapevoli della loro condizione. Menzione a Higher than Acidic Clouds dell’iraniano Ali Asgari.
Nella sezione cortometraggi miglior film il coreano Walk In di Haneol Park e Premio Rai Cinema Channel a Due sorelle di Antonio De Palo.
Nicola Falcinella