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Roma 2024: Berlinguer secondo Andrea Segre

È toccato a Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre inaugurare la 19^ edizione della Festa del cinema di Roma. Una prima in grande stile all’Auditorium della musica con tutto il mondo dell’ex Pci a rispondere all’appello, da Walter Veltroni e Massimo D’Alema a Luciana Castellina. Il film figura nel concorso Progressive Cinema della manifestazione che si chiude domenica 27 e sarà nelle sale dal 31 ottobre.

Quella realizzata dall’eclettico regista veneziano, con una coproduzione che coinvolge pure Bulgaria e Belgio, non è una biografia, ma un’operazione dalle aspirazioni forse ancora maggiori. Segre racconta cinque anni cruciali nella vita e nella segreteria di Berlinguer, tra il 1973 e il 1978, cercando di farli diventare esemplari del suo agire e della sua visione politica, improntata a una visione “unitaria” che metteva le basi per il compromesso storico. Il film si apre con le immagini d’archivio di Salvador Allende e del golpe cileno. Poi la visita in Bulgaria e l’attentato mascherato da incidente stradale. Tra il timore di essere eliminato dagli americani e quello di essere messo fuori causa dai sovietici si muove una vicenda sul filo della paura, con questo sentimento sempre palpabile, una sensazione di pericolo ancora più palpabile quando entrano in scena le Brigate Rosse e dopo il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro.
Berlinguer è come schiacciato da un peso, l’elemento che la postura di Elio Germano rende meglio, e si trova quasi solo, circondato da un apparato del partito rigido e distaccato. I suoi sforzi continui e tranquilli, senza far trasparire troppo (solo la confidenza alla moglie Lucrezia riguardo quanto accaduto a Sofia), sono gravati da questa sensazione. Segre e il cosceneggiatore Marco Pettenello danno un po’ per scontato ciò che precede il 1973, quando Berlinguer era da poco ufficialmente segretario del Pci, sebbene da più tempo facesse le veci di Luigi Longo ammalato. Al contrario il film cerca di spiegare molto, in maniera didascalica, quanto accaduto nel periodo trattato, risultando anche un po’ schematico e costruito a blocchi: colpisce che gli altri personaggi, collaboratori, dirigenti e leader delle altre forze politiche siano contraddistinti dal nome, come se dalla pellicola non emergesse abbastanza per renderli riconoscibili. Altro aspetto è l’alternanza di fiction, per i colloqui e le scene più ristrette, e immagini d’archivio per manifestazioni ed eventi pubblici, con l’effetto un po’ straniante di indebolire le ricostruzioni, per quanto minuziose. Sono anche rappresentati i momenti familiari, con la moglie (che credeva di aver sposato “un funzionario grigio” e si ritrova in casa un politico che intende cambiare il corso delle cose) e i quattro figli, che attraversano l’adolescenza e la prima gioventù e sono l’esempio di un tentativo di dialogo di Berlinguer con la nuova generazione, che prese spesso la strada della sinistra extraparlamentare. Il risultato è un film sincero, rispettoso, un po’ deferente senza farne un santino, però alla fine un po’ ingessato, senza slanci, che rischia meno di quel che potrebbe e risulta un po’ inerte. Tutto sembra racchiuso tra la paura di finire come Allende o come Moro e non riuscire a portare a compimento l’obiettivo di dare una nuova strada all’Italia. Berlinguer – La grande ambizione è un film su un’idea e insieme su un personaggio che è quasi una rockstar, morto ancora giovane nel 1984, ancora con una promessa di futuro. Un futuro che per la sinistra non è di fatto arrivato e ha lasciato un sentimento di nostalgia, che nel film è presente, ma ora sarà interessante come il pubblico, e in particolare tutta l’area post comunista, accoglierà il lavoro di Segre.

da Roma, Nicola Falcinella

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