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Roma 2024: Si dice di me

Un laboratorio teatrale di sole donne a Napoli. È La scena delle donne condotto dal 2013 da Marina Rippa, attrice e regista attiva sulla scena partenopea da parecchi anni. Le ha filmate Isabella Mari, giovane documentarista che ha collaborato tra gli altri con Michelangelo Frammartino per Il buco, in Si dice di me, presentato nella sezione Freestyle della 19^ Festa del cinema di Roma. Un gruppo composto da 23 partecipanti che si sono ritrovate anche sul tappeto rosso all’Auditorium e alla proiezione al MAXXI. Un film che inizia nel gennaio 2020 con le prove per uno spettacolo che non andrà mai in scena, fermato dalla pandemia e che costringerà le teatranti a lunghi periodi senza incontrarsi. Le componenti del gruppo hanno estrazioni sociali e percorsi differenti, ma sono accomunate da un vissuto di limitazioni e costrizioni in un ruolo predefinito, trovando nel teatro il loro spazio di libertà. Lo spettacolo è costruito sui loro racconti e sulle loro improvvisazioni, parlando di ribellioni (anche partecipare al laboratorio è per qualcuna un gesto di ribellione), di paure e pure di Pippa Bacca, l’artista uccisa in Turchia nel 2008. Per le donne il teatro sostituisce quello che non possono o non riescono ad avere nella vita reale. Il titolo Si dice di me deriva da uno degli esercizi che praticano, ovvero descriversi o esprimere come ci si sente definite. Isabella Mari le firma con grande sensibilità e pudore, stando vicina e in ascolto, tra improvvisazioni, prove, incontri a distanza durante i lockdown fino a uno spettacolo.
La regista riprende lasciandole libere di esprimersi, come se fossero tutte parti di un’unica storia, mostrando molto poco la città. “Capiamo che è Napoli dalle storie delle donne e da come parlano – ci ha confermato la regista -. Volevo andare oltre il cliché napoletano che oggi viene fuori in tante produzioni. L’incontro con queste donne mi ha sconvolta perché tutte ci portiamo dentro le nostre madri: ci ho riconosciuto i racconti di mia madre, napoletana, anche se sono calabrese”. “Il progetto del film è durato 4 anni – ha raccontato Isabella Mari – quello di Marina Rippa a Forcella ne compie 18. Con il racconto emergeva anche il personaggio di Marina, che ho incontrato a gennaio 2020, quando stava avviando Ribelle, lo spettacolo che non andrà mai in scena, e aveva chiesto alla produttrice Antonella Di Nocera di documentare la costruzione della performance. Subito mi innamoro delle loro storie e la documentazione diventa un film. Marina aveva chiesto una documentarista donna per mettere le donne a loro agio e lasciare loro una libertà che non hanno in casa o in famiglia. Mi ha anche colpito la costanza di Marina nel portare avanti il progetto nonostante le difficoltà. Ho sempre creduto nel potere dell’arte, ma non conoscevo questa potenza nel fare teatro, le partecipanti non mettono in scena qualcosa di già esistente, ma la performance nasce da loro, dalle loro stesse ribellioni. Il palco è un luogo sacro, dove si lasciano i telefoni da parte e ci si lascia andare ai racconti. La scelta del nero per gli sfondi, aggiustati anche i postproduzione, e gli abiti per far uscire i volti e le parole. Con loro si ride e si piange tanto, i loro racconti diventano di tutte. Mi ha colpito la loro capacità di raccontare, si esprimono per immagini, ti fanno diventare parte del racconto. Mentre filmavo ero con loro, non molto lucida, ho avvertito molte cose durante il montaggio, mi sono accorta della fiducia che mi avevano dato, non era scontata. Io non mi sarei abbandonata così tanto al racconto davanti alla macchina da presa. Ho acquistato la loro fiducia fermandomi, spegnendo la camera nei momenti più intimi, tagliando alcune cose. Ciò che accade in quello spazio di libertà resta là. Loro sono molto vitali, anche nei racconti, e sono entrata gradualmente nel loro mondo. Ci si ubriaca là dentro, per parole, urla, musica, movimenti. È una situazione felice anche nei momenti tristi. E conoscono Pippa Bacca perché Marina ne ha parlato spesso loro, così hanno deciso di dedicarle uno spettacolo. Ho assistito a incontri interessanti tra loro e l’arte, mi è piaciuto vederle in azione al Madre o all’archivio di stato, diventano parte dell’opera d’arte”.

da Roma, Nicola Falcinella

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