Tra i grandi ospiti della 19° Festa del cinema di Roma, l’attore americano Viggo Mortensen ha ricevuto il premio alla carriera, tenendo una masterclass molto partecipata e presentando il suo secondo film da regista, il western The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono. Mortensen aveva esordito dietro la macchina da presa con Falling – Storia di un padre (2020) e, curiosamente, era stato coprotagonista in Appaloosa (2008) di Ed Harris, debutto registico di un altro interprete di primo piano ambientato nel West. Il genere, mille volte dato per esaurito e fuori moda, ha sempre qualcosa da dire e sta vivendo una nuova stagione, basti pensare all’ambizioso colossal Horizon – An American Saga di Kevin Costner, a Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese e I dannati di Roberto Minervini o, andando poco più indietro, First Cow di Kelly Reichardt (già autrice di Meek’s Cutoff).
Come per i film di Costner e Minervini, siamo nel pieno della Guerra di secessione. Vivienne Le Coudy (Vicky Krieps) è una donna indipendente, d’origine francese, cresciuta con il mito di Giovanna d’Arco, mentre il padre era a combattere in guerra. In un mercato conosce l’immigrato danese Holger Olsen (lo stesso regista) e si trasferisce con lui a Elk Flats, in Nevada, in una casa isolata su un terreno arido che l’uomo intende dissodare. I due condividono la passione (che li prende anche in momenti e condizioni poco consueti) e il sogno di creare una loro piccola oasi. Vivienne vuole contribuire e si propone come cameriera del saloon nel villaggio, dominato dal corrotto sindaco Rudolph Schiller e dal suo spregiudicato socio Alfred Jeffries, un avido proprietario terriero dalle manifeste simpatie sudiste. Allettato dalla paga, con la quale potrebbe risolvere le difficoltà economiche, Holger si arruola per andare a combattere in California. La donna si ritrova a cavarsela da sola in una situazione ostile.
La storia è raccontata su diversi piani temporali, sebbene uno sia quello portante, a partire da una strage efferata che porterà a un colpevole di comodo e una vendetta. The Dead Don’t Hurt, che nell’originale ha il curioso doppio significato de “i morti non feriscono” e “i morti non soffrono”, sta tra la richiesta di giustizia e il regolamento di conti in una terra senza legge: non è un caso che il bizzarro giudice spari in aria durante l’udienza iniziale e che il sindaco sia un viscido avvoltoio spietato (interpretato dal bravissimo Danny Huston come in Horizon). Altra analogia con l’opera di Costner è che tra l’amore e l’andare in guerra si sceglie la guerra, anche se per ragioni diverse. E come là, c’è molto spazio alle figure femminili, a partire dall’eroina Vivienne (che ha già il destino racchiuso nel mito della pulzella d’Orleans): la definizione di western femminista gli sta però stretta, giacché Mortensen non fa manifesti o proclami, semplicemente mette in scena donne che non stanno un passo indietro.
Un film bello, coinvolgente, stimolante, che sa parlare della maternità e della paternità in maniera tutt’altro che banale. Se già Mortensen era un grande attore dalle scelte non scontate, si afferma dopo Falling come regista che ha da dire, bravo pure a dirigere i colleghi, dalla certezza Vicky Krieps (eccellente nel recitare in più lingue diverse) alla scoperta Solly McLeod.
da Roma, Nicola Falcinella