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Gli indesiderabili

Gli indesiderabili sono miserabili che occupano bidonville verticali, edifici dormitorio dimenticati dalle istituzioni per anni, salvo poi reclamarne gli spazi a fini speculativi. Gli indesiderabili sono francesi declassati, figli, nipoti, pronipoti di immigrati africani, che oggi sarebbe improprio definire minoranze etniche, basterebbe buttare un occhio sui protagonisti (vincenti) delle nazionali di calcio, basket e atletica leggera, per farsi un’idea. Vivono nelle banlieue, termine che identifica ormai non una semplice periferia ma i sobborghi cementificati che a Parigi, e non solo, si estendono in superficie e in altezza, in moduli ripetuti d’orrore urbano. Sono luoghi nati come contenitori senza poesia, nell’equazione inumana che ha sempre fatto coincidere mondo operaio e l’abitare non come luogo di crescita sociale, culturale e, perché no, spirituale. Concetti che paiono utopici. E invece le banlieue francesi sono oggi il risultato fallimentare delle politiche populiste europee (perché non è un problema solo francese). Il cinema ha iniziato a raccontarle in tutta la loro quotidiana violenza con La Haine (L’odio, 1995, presto restaurato al cinema) fino alle barricate in Athena, attingendo alla cronaca e a un passo sempre dal documentario, sicuramente facendo propria la lezione del cinema di impegno civile, ed è proprio il caso di Ladj Ly. Ciò che si consuma giornalmente è la disintegrazione sociale, così come la descrisse Edgar Morin all’indomani delle rivolte scoppiate a fine giugno 2023 dopo la morte di un diciassettenne a Nanterre, freddato da un colpo di pistola di un poliziotto: semplicemente Vita nella banlieue, per citare un brutto film del 2019, che aveva però il pregio di innestare in una sceneggiatura fiacca il dibattito irrisolto tra chi sostiene che ci sia una (ir)responsabilità dello Stato – dalle amministrazioni locali ai tutori dell’ordine – e chi è convinto che spetti all’individuo intraprendere strade virtuose e costruttive per uscire dalla miseria economica e culturale in cui affonda.

Ban lieu, ovvero luogo bandito, concetto che innerva il cinema di Ladj Ly, nei cortometraggi come nel lungo d’esordio, I miserabili, premiato a Cannes nel 2019, che con Gli indesiderabili forma un ideale dittico. Opera meno pulsionale, sempre politica ma dove si percepisce la volontà di non farne manifesto ideologico, Gli indesiderabili si apre con un’inquadratura a volo di uccello sui casermoni di edilizia popolare, che imparenta immediatamente il film con il precedente, dove un ragazzino (miserabile), che utilizzava il drone per spiare le (miserabili) adolescenti del quartiere nelle loro (miserabili) abitazioni, finiva per filmare una colluttazione tragica tra poliziotti (miserabili anche loro) e una banda arrabbiata di altri miserabili ragazzini. Il drone, in tutta la sua ambiguità – e come non potrebbe essere altrimenti, occhio volante più simile a quello di un guardone di quanto non fosse la macchina da presa su un elicottero – produce long take che in principio servivano a domicilio l’esplorazione panica del creato, per rivelarsi via via come congegno di controllo e arma bellica. In questi ultimi casi inquadrare coincide con il mirare o intercettare un obiettivo per finalità tutt’altro che estetiche. La prima immagine de Gli indesiderabili è un campo lunghissimo dall’alto, l’invito a un primo respiro profondo a pieni polmoni, un’immagine di ricerca estetica inaspettata, ma che lascia presagire, nel progressivo avvicinamento alla finestra di casa della protagonista Haby, che di aria ce ne sarà ben poca. E infatti, subito dopo, dall’appartamento viene fatta uscire una bara che dovrà arrivare in strada passando per una stretta e buia tromba delle scale, data l’inagibilità dell’ascensore, guasto da dieci anni: l’abbandono ha trasformato la scala in una caverna scura. La macchina da presa stringe sui volti, sul feretro che pare scivolare via, le voci rimbombano, i telefoni si sostituiscono per quanto possibile all’assenza di luci, si intravedono graffiti sui muri, gli stessi che impattavano nell’edificio messo a ferro e fuoco nello strepitoso finale de I miserabili. Manca uno Youri, protagonista di Gagarine (2020), maestro sedicenne della resilienza, che controcorrente riparava il suo edificio, agiva una cura disperata che potesse invertire il senso della storia, salvando la sua storia personale e il suo palazzo destinato alla demolizione.

La sequenza successiva è proprio una demolizione. Sindaco e assessori sono in fila davanti ai cittadini, tricolore e coccarde, si fa il futuro, mentre il background è un deserto dove si erge spettrale un colosso di cemento che viene abbattuto; qualcosa va storto, il fumo sorprende le autorità cancellandole per un momento, riempiendo l’inquadratura. Sembra comico, ci aspettiamo che esca Chaplin come in Luci della città, invece il primo cittadino del dipartimento di Montvillers (inventato ma simile a Montfermeil dove era ambientato I miserabili) si accascia e muore di infarto. Il partito si riunisce e decide che non sarà il vice a sostituirlo, un nero proveniente proprio dai sobborghi più profondi ma abbastanza scaltro da aver sposato le logiche della politica, ma un pediatra reazionario più per incompetenza e paura, che per convinzione ideologica.
Dieci minuti iniziali stracolmi di simbologie e sottotesti, tanto da far pensare a un’opera a tesi. Invece ci pensa la protagonista Haby, attivista in difesa dei diritti della povera gente che tenta di sopravvivere nel Batiment 5 (che è poi il titolo francese del film), l’edificio che, nei piani dell’amministrazione non può essere riqualificato, ma anch’esso abbattuto, con buona pace degli abitanti. Haby, la brava esordiente Anta Diaw, è una forza della natura, difende il diritto alla partecipazione civile, l’unica ad avere ben chiari i valori della bandiera francese, cerca la coesione sociale e, forte di una solidarietà diffusa, si candida a sindaco alle imminenti elezioni.
Ladj Ly le contrappone non solo il sindaco pediatra Pierre Forges (Alexis Manenti), la sua stretta cerchia, gli agenti di polizia (poca umanità e tanto sadismo), ma anche il suo amico/compagno Blaz (Aristote Luyindula), che reagisce con la violenza all’impotenza di fronte agli abusi.

Anche questa volta il regista di origini malesi costruisce un film che cresce sequenza dopo sequenza (alcune davvero memorabili, come lo sgombero del Batiment 5), alzando la tensione, verso un finale che non spiega troppo, che non chiude tutto, che per questo lascia sgomenti. Un’istantanea lucida di un mondo rassegnato alla sopravvivenza con qualsiasi mezzo, definito più dalla rabbia sociale che dalla speranza di vedersi riconosciuto. Rispetto a I miserabili, tutto maschile, con il trio di poliziotti capeggiato dal cinico Chris (sempre Alexis Manenti) a spingere l’intreccio verso il drammatico epilogo, Gli indesiderabili, attraverso il personaggio riparatore di Haby, semina speranza, lavora per costruire nonostante tutto sia fosco, guarda alle cause e non agli effetti del male sociale che affligge le periferie, ponendo al centro la questione della dignità umana, voce assente nelle politiche gentrificatrici e imprenditoriali di chi avrebbe il dovere di garantire beni essenziali e luoghi di crescita per tutti in ogni grande metropoli.

Alessandro Leone

Gli indesiderabili

Regia: Ladj Ly. Sceneggiatura: Ladj Ly, Giordano Gederlini. Fotografia: Julien Poupard. Montaggio: Flora Volpelière. Musica: Pink Noise. Interpreti: Alexis Manenti, Anta Diaw, Jeanne Balibar, Steve Tientcheu, Aristote Luyindula. Origine: Francia, 2023. Durata: 106′.

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