Aveva debuttato lo scorso novembre nel concorso opere prime al Black Nights di Tallin, per poi ricevere il premio Ettore Scola alla regia dell’ultimo Bifest di Bari. È L’uomo senza colpa, primo film di finzione di Ivan Gergolet (già noto per il documentario Dancing with Maria del 2014), ora in uscita nazionale dopo gli ottimi riscontri ottenuti nelle proiezioni in Friuli Venezia Giulia, dove è ambientato. Gergolet riprende il dramma dell’amianto, che aveva già trattato nel cortometraggio Polvere del 2009, in maniera originale. All’inizio c’è un processo, in un’aula illuminata di luce di taglio come una chiesa, che vede imputato un uomo. Tutto è coperto dalla polvere, con l’accusato che, in piedi, fa platealmente il gesto di scrollarsela dalla giacca. Intanto dai banchi, avvolti in un’atmosfera giallo-beige che sembra sospendere il tempo, lo fissano tutti, in particolare un uomo che pare conoscere bene l’incriminato e porgli domande silenzose. Presto si scopre che si tratta di un incubo della protagonista del film, la cinquantenne Angela, addetta alle pulizie di un ospedale triestino. Probabilmente non è la prima volta che vive nel sonno situazioni del genere, dopo la morte di suo marito Andrej, che lavorava in un cantiere navale a Monfalcone a causa dell’amianto. La scena contiene tanti elementi che ritorneranno nel corso della storia. La donna è amica di Elena, il cui marito era collega di Andrej e sta per morire. Un giorno Angela scopre che nel nosocomio è ricoverato Francesco, l’ex padrone del cantiere che era stato assolto al processo. Per caso si imbatte nel figlio di lui, Enrico, che non la conosce e le chiede di aiutarlo anche nel successivo trasporto a casa, non essendo il paziente in grado di muoversi. La donna accetta e finisce con il licenziarsi e fare da badante, mentre nella sua testa si fanno spazio sentimenti e comportamenti contrastanti.
Il primo merito di Gergolet è di non fare un canonico dramma sociale di denuncia, magari lodevole nelle intenzioni, ma a rischio di cadere nel risaputo. L’uomo senza colpa fonde gli elementi del dramma con quelli del thriller, mettendo insieme il desiderio di vendetta (e tutti i meccanismi che innesca, compresi gli elementi del genere cinematografico) con il dolore intimo dei personaggi. Un altro pregio del lavoro è il riuscire a stare in equilibrio tra il livello personale e familiare e la scala collettiva e pubblica: la tragedia dell’amianto (ma non solo, il discorso potrebbe valere per altre sostanze che provocano gravi danni alla salute) riguarda i singoli ma anche la società e il regista, che conosce bene la realtà di cui parla, riesce a esplorare ciò che accade dentro le persone e quanto avviene intorno a loro. Gergolet, senza usare toni di denuncia, scava tra i rimossi: il non sentirsi responsabile da parte dell’imprenditore, il trovare giustificazioni e il non aver capito per tempo. È anche la storia di una comunità che ancora soffre e non trova modo per sanare le ferite. Il film è giocato sulla vicinanza e sulle vite intrecciate: Francesco non è il capitalista lontano (si pensi al rogo della Thyssen-Krupp) che pensa solo al profitto, è un ex operaio che con il suo lavoro si è messo in proprio. I suoi dipendenti lo percepivano come uno di loro, persino un amico, come provano le vecchie foto di gioventù con Andrej, per questo la faccenda è sentita non solo come un danno ma pure come un tradimento profondo. In più c’è il rapporto (e il divario) tra le generazioni: Enrico e Daria (figlia di Angela) non conoscono il passato o vogliono dimenticare e non capiscono il comportamento dei genitori.
Gergolet riesce a fare un film sorprendente ed emozionante, una delle opere prime italiane di finzione più riuscite e importanti degli ultimi anni. Se la scrittura è precisa e tutti i reparti sono all’altezza (a partire dalla fotografia di Debora Vrizzi e dalle musiche di Luca Ciut che utilizza anche i cori popolari), spiccano le prove degli interpreti.
In particolare è straordinaria l’interpretazione che Valentina Carnelutti fa di Angela, incredibilmente intensa e mutevole, che rende a livello fisico i turbamenti e le contraddizioni che ha dentro. Una delle nostre migliori attrici (e tra le meno celebrate) in uno dei suoi lavori più belli. C’è poi lo sloveno Branko Završan, noto ai cinefili italiani per Tir di Alberto Fasulo, che non ha bisogno di parlare per essere fino in fondo “l’uomo senza colpa”. Funziona bene anche il cast di supporto, da Rossana Mortara (vista nei film di Nanni Moretti e in Zoran il mio nipote scemo) a Giusi Merli a Paolo Rossi, lui stesso monfalconese, che dà voce a un ex sindacalista che tiene un discorso funebre commosso e a suo modo sincero.
Un film che merita attenzione, utile per dibattiti (non solo legati all’amianto), ma soprattutto come opera che pone dilemmi e suscita partecipazione ed emozioni.
Nicola Falcinella
L’uomo senza colpa
Sceneggiatura e regia: Ivan Gergolet. Fotografia: Debora Vrizzi. Montaggio: Natalie Cristiani. Musiche: Luca Ciut. Interpreti: Valentina Carnelutti, Livia Rossi, Branko Zavrsan, Rossana Mortara, Enrico Inserra, Paolo Rossi, Alessandro Bandini. Origine: Italia/Slovenia/Croazia, 2022. Durata: 112′.