Grandi nomi e film molto attesi per il 76° Festival di Cannes in programma da martedì 16 fino a sabato 27, quando sarà consegnata la Palma d’oro.
La competizione comprende 21 titoli tra i quali ben tre italiani: Il sol dell’avvenire di e con Nanni Moretti, l’unico con il privilegio di essere già uscito nelle sale, Rapito di Marco Bellocchio, distribuito a partire da giovedì 25, e La chimera di Alice Rohrwacher. Quest’ultima, che vinse il Gran Prix per Le meraviglie, pare la più accreditata del terzetto per un premio importante.
La giuria sarà presieduta dal vincitore dello scorso anno, lo svedese Ruben Östlund di Triangle of Sadness (oltre che di Forza maggiore e The Square) e comprende Julia Ducournau, la regista di Titane, opera notoriamente non amata da Moretti, che probabilmente avrà un appoggio in meno quando si tratterà di assegnare i premi.
L’apertura sarà affidata al film francese in costume Jeanne du Barry – La favorita del re di e con Maïwenn (nota per Polisse e Mon roi) e con Johnny Depp. Siamo alla corte di Luigi XV a Versailles e la popolana Jeanne diventa la favorita del sovrano. Pellicola di chiusura sarà la nuova animazione Pixar Elemental di Peter Sohn.
Tra i più attesi fuori gara ci sono Indiana Jones e il quadrante del destino di James Mangold, che arriverà nelle sale il 28 giugno, e Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese.
La selezione sembra più che mai ipertrofica, confermando la direzione intrapresa dal Festival (ma non è una malattia solo di Cannes) di fare incetta di titoli, solo per dire di averli avuti senza preoccuparsi di dargli visibilità e valorizzarli, pensando che sia sufficiente la bandierina piazzata sopra. E l’organizzazione, che negli ultimi anni ha cambiato il canonico palinsesto per accontentare registi e produttori permalosi, preoccupati di reazioni social negative prima delle proiezioni ufficiali, sta rendendo difficile la vita degli addetti ai lavori. Molti film sono caratterizzati da lunghezze spropositate, in più casi superiori alle tre o quattro ore, a confermare la tendenza recente verso durate sempre maggiori. Tutti elementi che vanno a sfavore della visione attenta e della lettura meditata dei film, ma servono solo ad alimentare il rumore di fondo e il clamore mediatico basato sul glamour.
Una conferma è che la Francia fa la parte del leone: tra produzioni nazionali e coproduzioni i padroni di casa hanno 11 titoli in competizione.
Tra i 21 in lizza sono ben quattro le opere di cineasti che hanno già conquistato la Palma: Perfect Days di Wim Wenders, The Old Oak di Ken Loach (ne ha vinte addirittura due, proprio come Östlund), Monster di Kore-eda Hirokazu e About Dry Grasses – Les herbes sèches di Nuri Bilge Ceylan.
Per i premi non emergono grandi favoriti alla vigilia e le sorprese sono sempre dietro l’angolo, con l’austriaca Jessica Hausner di Club Zero e la stessa Rohrwacher (sarebbe una sorpresa relativa) ben posizionate. Per l’Italia la Palma stavolta potrebbe non essere una “chimera”. Chissà invece che non sia la volta buona per il grande finlandese Aki Kaurismaki, che ci è andato vicino più volte (è ancora vivo il ricordo della sua delusione quando nel 2002 riportò solo in Gran Prix per L’uomo senza passato e torna in gara con Fallen Leaves.
Autori americani molto attesi in gara sono il beniamino di Cannes Wes Anderson con Asteroid City e Todd Haynes con May December.
Tra gli altri, attenzione al fluviale Youth (Spring) di Wang Bing (che presenta un altro documentario, Man in Black fuori concorso) e Zone of Interest di Jonathan Glazer che passano nei primi giorni.
La selezione ufficiale comprende anche le sezioni Un certain regard (tanti nomi poco conosciuti, ma c’è pure l’australiano The New Boy di Warwick Thornton con le sue storie aborigene), Prémière e Cortometraggi, oltre a fuori concorso e proiezioni di mezzanotte e qui non ci sono altri italiani in lizza.
Nella massa di titoli fuori gara da menzionare: il cortometraggio western Strange Way Of Live di Pedro Almodovar; il documentario Occupied City di Steve McQueen; Kubi di Kitano Takeshi; Cerrar los ojos dello spagnolo Victor Erice, un grande ritorno che riempie di piacere; Hypnotic di Robert Rodriguez; Eureka dell’argentino Lisandro Alonso; il documentario Retratos fantasmas del brasiliano Kleber Mendonca Filho.
Senza dimenticare Cannes Classic tra restauri (tra gli altri Il ferroviere di Pietro Germi e Caligola: Ultimate Cut di Tinto Brass) e documentari sul cinema: da menzionare almeno 100 Years of Warner Bros. di Leslie Iwerks, Chambre 999 di Lubna Playoust (riprende l’idea di Room 666 di Wenders interrogando 30 registi sul futuro del cinema), Godard by Godard di Florence Platarets in memoria di Jean-Luc Godard, Liv Ullmann: A Road Less Travelled di Dheeraj Akolkar, Michael Douglas, le fils prodige di Amine Mestari (Douglas riceverà la Palma alla carriera) e Viva Varda! di Pierre-Henri Gibert.
La storica sezione collaterale Quinzaines des réalisateurs, giunta alla 55° edizione, ha cambiato nome in Quinzaine des cinéastes, togliendo il “maschile” per diventare “inclusiva”. Nella selezione comprende: il promettente georgiano Blackbird Blackbird Blackberry di Elene Naveriani (l’ottimo Wet Sand nel 2021); il film di chiusura In Our Day dell’incredibilmente prolifico coreano Hong Sang-soo che realizza un’opera a festival con esiti sempre meritevoli; il film d’apertura Le procés Goldman di Cédric Kahn; Les livres des solutions di Michel Gondry; Conann di Betrand Mandico; proiezione speciale de La valle del peccato (1993) dell’indimenticabile Manoel de Oliveira.
Nella Semaine de la critique, luogo di scoperta dei giovani cineasti, riservato a sette opere prime e seconde, spicca Lost Country del serbo Vladimir Perisić, già conosciuto per Ordinary People del 2009 e presentato proprio a Cannes.
da Cannes, Nicola Falcinella