Presentato alla Berlinale come film di apertura di Panorama, la sezione normalmente più attenta alle tematiche sui diritti umani, La Sirene è una coproduzione franco-tedesca-lussemburghese-belga che racconta un episodio del passato della storia dell’Iran, in guerra con l’Iraq, guardando evidentemente anche ai fatti odierni. La regista di origine iraniana Sepideh Farsi, raccontandoci il crollo di una città, si concentra sui suoi cittadini spesso repressi: le donne, i cristiani e gli stranieri.
Siamo in Iran nel 1980, il presidente iracheno Saddam Hussein effettua un attacco a sorpresa e invade il territorio iraniano con una divisione corazzata composta da 600 carri armati e 20.000 soldati. La storia del film si svolge nella metropoli petrolifera di Abadan, la più grande città portuale dell’Iran, che dopo il primo attacco missilistico precipita nel caos. Il nostro protagonista, il fattorino quattordicenne Omid, sta cercando il fratello scomparso e una via di fuga dalla città accerchiata. Troppo giovane per imbracciare lui stesso le armi diventa il fornitore di un gruppo di resistenti. È deciso però a non rinunciare alla ricerca del fratello che è partito per il fronte.
La Sirene è realizzato interamente attraverso l’animazione 2D con uno stile minimalista. La regista mette in scena la lotta di Omid che, facendo avanti e indietro nella città assediata, incontra un variopinto gruppo di personaggi: un vecchio meccanico, due preti armeni, un fotografo greco e un ex capitano di una nave. Sono tutte persone ad un punto di svolta della loro vita a causa della guerra e che devono riprogettare il loro futuro. Tra loro c’è anche un’ex cantante di nome Elaheh, ammirata sia dagli uomini di Abadan che dalle forze irachene; per lei non c’è più niente che il suo paese possa darle. Una volta era una star ma ora, dopo la Rivoluzione, le è stato vietato di lavorare, così trascorre tutto il suo tempo a casa sua, circondata da cimeli. Eppure i legami con questo luogo, i suoi ricordi e le sue radici non le permettono di fuggire.
La Sirene mette in mostra questi complessi sentimenti di disperazione e identità, aggrapparsi al passato per parlarci del presente. La Farsi sembra dirci che non esiste un modo giusto o sbagliato di pensare all’Iran, ad Abadan o persino agli iracheni. La regista concede loro parte di tempo sullo schermo ed esplora il loro punto di vista sull’attacco ai civili. Una delle parti più commoventi è quando sia le guardie iraniane in servizio di vedetta, sia i loro omologhi iracheni, cessano il fuoco per guardare lo stesso programma televisivo: una puntata di Goldrake.
Omid nel corso del film diventa un custode della vita in questa zona piena di morte, riesce persino a dare da del gelato agli squali affamati della baia che non hanno più niente da mangiare da quando è in corso la guerra. Ovviamente la cosa più interessante è proprio la riflessione sulla guerra: “Non tutti dobbiamo combattere questa guerra. In effetti, nessuno dovrebbe”, dice un generale iraniano a Omid. Non ci sono mai vincitori: solo sopravvissuti, la loro angoscia e il loro trauma. Ieri e oggi ovviamente.
da Berlino, Claudio Casazza