Sezione introdotta negli ultimi anni, Cannes Première riunisce film di autori spesso già affermati che per varie ragioni non sono stati inseriti in concorso, come pure Esterno notte di Marco Bellocchio. Un anno fa la sezione propose parecchi film francesi di alto livello che sono poi arrivati nelle sale. Anche quest’anno la proposta è stata varia e molto valida e meno centrata sul paese ospitante.
Spicca lo spagnolo As bestas (The Beast) di Rodrigo Sorogoyen, che il direttore Thierry Fremaux non ha inserito in concorso “perché arrivato a programmazione già chiusa”. Un peccato perché questo dramma rurale, che ha un po’ de Il vento fa il suo giro e un po’ dell’ottimo Alcarràs – L’ultimo raccolto (Orso d’oro a Berlino e proprio ora nelle sale italiane), avrebbe ben figurato in competizione e avrebbe potuto puntare a un premio.
L’ex professore Antoine (Denis Menochet) e la moglie Olga (Marina Foïs) hanno da un paio d’anni scelto di lasciare la Francia e diventare piccoli coltivatori in un remoto villaggio in Galizia. I loro vicini sono i fratelli Xan e Lorenzo, allevatori rozzi e duri, che prendono in giro i nuovi arrivati e fanno dispetti di intensità e pesantezza crescente, fino ad avvelenare con il piombo la cisterna dell’acqua per l’irrigazione dei campi. Punto cruciale dello scontro è il voto contrario espresso da Antoine verso l’impianto di pale eoliche sulla dorsale delle colline dei dintorni. Gli impianti sono visti dai locali come l’unica opportunità di sviluppo per svincolarsi dalla fatica e dalla povertà ataviche, mentre i forestieri fanno considerazioni più di lungo periodo. È una profonda differenza culturale che divide i vicini e culmina in tragedia.
Sorogoyen, conosciuto per Che Dio ci perdoni, Il regno e Madre, si conferma uno dei migliori registi spagnoli, con ottime intuizioni di sceneggiatura e messa in scena e attori ottimi. Da notare in particolare tre piani sequenza che rappresentano le scene cruciali: il lungo dialogo al bar tra Antoine e i fratelli, l’aggressione nel bosco, il dialogo tra Olga e la figlia Marie in cucina. Il film parla dell’agricoltura nelle zone marginali, cosa fare delle terre, le scelte della vita, il legame con i luoghi, il sentirsi a casa e chi sono gli stranieri. Temi universali e forti che nel film emergono in maniera lucida. È interessante che, come anche in Alcarràs, le energie dette “rinnovabili” rappresentino una speculazione e una minaccia per l’esistente.
Molto buono anche Dodo del greco Panos H. Koutras, che si era fatto notare con Xenia – Pazza idea nel 2014. Questo lavoro è meno kitsch e il risultato più compatto. In grande villa nei dintorni di Atene vivono Mariella, ex attrice di una famosa soap degli anni ‘90, e il marito imprenditore Pavlos. La loro unica figlia sta per sposarsi, i preparativi fervono e nella residenza si avvicendano tante persone, non tutte affidabili. Intanto nei dintorni i cani abbaiano e uno strano uccello si rifugia nell’edificio. È un Dodo, uccello tropicale estinto da tre secoli e citato in Alice nel paese delle meraviglie. La scoperta aggiunge scompiglio a una situazione che sta andando a rotoli, perché la famiglia non ha più un euro e vari segreti stanno per essere rivelati. Un po’ commedia e un po’ dramma familiare che cita più volte Victor Victoria (tra i protagonisti si inserisce pure la trans Eva, che è uno dei personaggi più razionali).
È una commedia sentimentale ben scritta e con interpreti perfetti Chronique d’une liason passagère di Emmanuel Mouret con Sandrine Kiberlain e Vincent Macaigne. I quarantenni Simon e Charlotte si rivedono in un locale e iniziano una relazione, vedendosi a cadenza regolare, anche se entrambi hanno figli e l’uomo è sposato. Come suggerisce il titolo, il film è una “cronaca” e segue tutti i loro incontri nell’arco di vari mesi, con un fuori programma che avrà conseguenze inaspettate. Sarebbe una storia vista e rivista, ma i due attori sono deliziosi e funzionano benissimo insieme. Anche qui una citazione pertinente, giacché Simon è appassionato di cinema e i due si troveranno a vedere il bergmaniano Scene da un matrimonio.
È un giallo che vuole uscire dai canoni del genere La nuit du 12 di Dominik Moll, ispirato a un omicidio non risolto avvenuto nei pressi di Grenoble nel 2016. Nella centrale di polizia si è appena festeggiato il pensionamento del vecchio capo, rimpiazzato dal più giovane Yohan, appassionato di ciclismo su pista (molto evocative le riprese notturne al velodromo). Nella notte del 12 ottobre in una tranquilla località dei dintorni la ventenne Clara sta rientrando a casa dopo una festa in casa della sua migliore amica, quando uno sconosciuto la aspetta nel buio e le appicca fuoco. La giovane è ritrovata morta l’indomani e iniziano le indagini. Nessuno ha visto nulla, nonostante l’impegno gli inquirenti non trovano una pista, se non scovando nel passato sentimentale della vittima, costellato di storie segrete con uomini a dir poco problematici e disturbati, “era attratta dai cattivi ragazzi”, spiegano. Potrebbe essere stato chiunque, mancano un movente (“è stata uccisa perché era una donna”, scandisce l’amica) e una prova e le indagini si bloccano, anche perché un poliziotto supera i limiti nel trattare un sospettato. Moll si sofferma sul perché gli investigatori siano attratti da certi casi e certi crimini. E pure sulle differenze di comportamento tra uomini e donne, soprattutto nell’ambito delle relazioni, un po’ come un altro film francese uscito da poco nelle sale, L’accusa di Yvan Attal.
da Cannes, Nicola Falcinella