Nato da una idea traballante (il libro in effetti non era stato letto dal regista cileno), il Dune di Jodorowsky sarebbe potuto essere il film più costoso della storia del cinema, come anche il film che avrebbe dimostrato il maggiore uso della fantasia. Difficile poter dire esattamente cosa sarebbe uscito dal continuo dispiegarsi di idee che, nel loro susseguirsi, facevano pensare a due soli possibili risultati: o uno spreco di energia, tempo e talento, che avrebbero portato a una delle operazioni più fallimentari nella storia delle produzioni cinematografiche, o un investimento fruttuoso dei suddetti elementi che avrebbe permesso non solo il successo al botteghino, ma anche la consacrazione con una serie di riconoscimenti artistici che avrebbero sancito l’immortalità dell’opera. L’utilizzo del condizionale, in queste frasi, è d’obbligo: il film non ha mai visto la luce del sole, essendosi fermato al momento della pre-produzione. Un sogno, quindi, che muore nell’attimo in cui è ormai pronto per passare dal campo astratto a quello concreto.
Riprendere in mano questo film, oggi, significa allora ripercorrere una serie di azioni che ne hanno non solo decretato la fine, quanto anche (e soprattutto) il suo status di opera inarrivabile e, al tempo stesso, forma di ideale incorporeo di cui si vestono i progetti mastodontici che non hanno mai visto la luce del sole. In altre parole, il Dune di Jodorowsky non esiste né mai esisterà (impossibile oggi riprenderlo in mano per portarlo sullo schermo così come voleva il suo regista, soprattutto per il fatto di aver ormai perso buona parte degli attori a causa del normale passare del tempo e dei decessi che ne conseguono). Nella sua non-esistenza è riuscito però a crearsi uno spazio mitologico che, espandendosi nelle pieghe del tempo e dell’arte, ha posto le basi per una serie di ulteriori eventi, permettendo la nascita di opere fortemente influenzate dalla visionarietà di Jodorowsky.
Il lavoro di Frank Pavich, regista del documentario, diventa per questo non una semplice forma di venerazione nei confronti sia di Jodorowsky che del film mai girato, bensì anche un lavoro di archeologia cinematografica. Si fa carico, Jodorowsky’s Dune, di districare una storia di per sé complicata, aprendo sia un dialogo tra il passato e il presente, sia una riflessione interna sul passato stesso, nell’analisi di ciò che sarebbe potuto essere e di ciò che si trovò a impedirne la creazione. I rimandi alla storia del cinema, allora, diventano una lettura necessaria di quest’opera, arrivando così a farci riflettere a come le influenze e le connessioni siano tanto profonde quanto sconosciute. Se ne ricava dalla visione, non solo uno sguardo su ciò che sta alla base di qualunque produzione (il “come si fa un film?”), quanto anche le infiltrazioni di questa grande macchina immaginifica nel corso della storia mondiale del cinema.
Rimane il dubbio, certamente, di quanto in realtà sarebbe stato fattibile il progetto del regista e scrittore cileno. Se Jodorowsky lascia libero lo scorrere della sua fantasia, come anche la possibilità di portare sulla scena immagini indimenticabili, è pur sempre vero che per incarnare i sogni è necessaria della materia di cui non solo si dispone (in maggiore o minore misura), ma che ci lega anche alla effettiva possibilità di far sì che determinati progetti possano meccanicamente e pragmaticamente aver luogo. La più grande opera della fantascienza cinematografica, allora, potrebbe non aver potuto rispecchiare esattamente l’immaginazione di cui si vedeva essere figlia, menomata da necessità di ordine tecnico, oltre che di fondi.
Per questa ragione, il lavoro di Pavich è indispensabile per poter far arrivare a noi qualcosa che sarebbe forse potuto arrivare monco nelle sale cinematografiche. Da ciò ne deriva che il documentario non funziona solo come campo di scavi archeologici, quanto anche come corretta interpretazione dei sogni e delle idee che stavano alla base della trasposizione del romanzo di Frank Herbert. Jodorowsky’s Dune è allora un invito ad avvicinarci a ciò che non fu ma che sarebbe potuto essere, non uno tra tanti progetti naufragati nel caotico mondo del cinema, quanto forse la punta massima dell’espressione del concetto di fantascienza, un’opera che nel suo non-essere continua ad ammaliare chiunque le si avvicini, anche solo per sentito dire.
Guido Negretti
Jodorowsky’s Dune
Regia: Frank Pavich. Fotografia: David Cavallo. Montaggio: Paul Docherty, Alex Ricciardi. Con: Alejandro Jodorowsky, Michel Seydoux, H. R. Giger, Chris Foss, Nicolas Winding Refn, Amanda Lear, Richard Stanley. Origine: USA/Francia, 2013. Durata: 90 minuti.