In questa situazione di assordante silenzio ed inattività per tutte le categorie e i luoghi dello spettacolo, l’impressione è che lo stallo ancora non trovi soluzioni e che la riapertura delle sale teatrali e cinematografiche sia ancora lontana, o forse più vicina ma legata a prescrizioni davvero penalizzanti per gli esercenti. Non solo il distanziamento sociale e la limitata disponibilità dei posti a sedere (1 su 4), ma anche l’obbligo di misurazione della temperatura, l’uso di mascherine FFP2 obbligatorie o addirittura l’esibizione da parte dello spettatore di un tampone negativo nelle ultime 48 ore siano misure poco praticabili e addirittura punitive, che terrebbero ben lontano il pubblico dalle sale.
Se il rischio più forte è quello di aspettare Godot all’infinito, la certezza è che l’amante del cinema, già caduto in profonda depressione, trovi definitivo appiglio nelle piattaforme, che in questi mesi hanno visto moltiplicarsi gli utenti in modo esponenziale, a fronte di una caotica immissione di contenuti in streaming. Sembra proprio che la strategia sia quella di dare il colpo di grazia al circuito delle sale, ovviamente soprattutto verso le più deboli, che guarda caso sono quelle culturalmente più attive e agguerrite, forti di una passione sincera per il cinema e per il valore della socialità che accompagna spesso la visione dei film e degli spettacoli.
In una lettera aperta al Ministro Franceschini, pubblicata sul Corriere.it, il riflessivo Paolo Mereghetti ha strigliato gli esercenti che, calmati dai ristori ministeriali, non hanno neppure provato a riaprire le sale nel settembre scorso, e sembrano tutt’ora appagati tanto da non urlare a gran voce di voler ripartire. Un giusto rimprovero perché solo una forte pressione può accelerare la ripartenza (che sarà comunque lenta, difficile e dolorosa) di un settore dove anche ricerche approfondite hanno dimostrato che non ci sono mai stati focolai, e che le sale ben gestite sono luoghi sicuri.
Ma il rimprovero di Mereghetti è ad ampio raggio e va a segnalare altre colpe, come quelle del sistema cinematografico italiano, incapace di imparare la lezione e mettere a frutto “quello che si è imparato in questi mesi di chiusura forzata per diventare finalmente adulto e moderno”. Cosicché, ricorda il critico, sarebbe opportuno che Franceschini vada a “riguardarsi la relazione dell’antitrust sulle anomalie della distribuzione nazionale, si faccia dire da un qualsiasi esercente degli obblighi di tenitura (e dei ricatti conseguenti: se non tieni tot settimane questo film non ti do nemmeno gli altri), dei differenti criteri con cui viene concessa la multiprogrammazione a seconda del potere contrattuale del circuito di appartenenza (per cui i grandi possono programmare film diversi a diverse ore del giorno per attirare pubblici diversi, le piccole sale di provincia non possono), dei legami non proprio limpidi tra agenti regionali e circuiti amici”.
Sono temi importanti, denunce precise, che riprendono aspetti fondamentali per la sopravvivenza soprattutto delle sale d’essai e di quelle di quartiere, quelle lontane dal business ma per fortuna vicine al pubblico, che oltre al lockdown per poter riaprire dovranno lottare contro i ricatti del mercato, che impone le sue leggi e rende quasi impossibile la libertà di scelta e programmazione e quindi l’identità più vera di quelli che sono, sempre di più, veri e propri presidi culturali. Se non saranno tutelate soprattutto le monosale di città e le piccole sale di provincia, anche quelle più deboli ma necessarie, di fronte a qualsiasi imposizione della distribuzione, non si potrà guardare con fiducia al futuro del cinema di qualità e della cultura stessa.
Nel frattempo, dice ancora Mereghetti, “la scommessa si giocherà d’estate, sarà in quei mesi che si capirà se davvero il cinema italiano vuole ripartire e quindi sarà in estate che gli sforzi vanno concentrati, lasciando gli ‘attendisti’ a bocca asciutta. Magari aiutando anche le arene estive che possono essere il vero Cavallo di Troia per far tornare al pubblico la voglia del grande schermo! “.
Grazie Paolo!
Giulio Rossini