Leone d’oro al grande favorito, Nomadland di Chloé Zhao, e uno simbolico alla Biennale di Venezia. La 77^ Mostra del cinema che ha rischiato di saltare come Cannes e che è stata voluta dal neopresidente Roberto Cicutto e dal direttore Alberto Barbera (avviato verso la riconferma) è una scommessa vinta. La prova che si possono organizzare bene grandi manifestazioni rispettando le regole anti Covid-19 e che l’intero settore cinema può ripartire, senza perdere il piacere della visione condivisa sul grande schermo. Un segnale importante, dal momento che Venezia era il primo festival internazionale a tenersi da febbraio, dalla conclusione della Berlinale appena prima che scattasse l’emergenza coronavirus. Il bilancio è decisamente positivo, nonostante il tappeto rosso chiuso al pubblico, il distanziamento, le mascherine, il ridotto numero di star, ospiti, accreditati e spettatori. Si sono visti parecchi buoni film, soprattutto nelle sezioni collaterali (da Orizzonti alla Settimana della critica, dalle Giornate degli autori ai Fuori concorso) mentre il concorso vero e proprio è stato un po’ disomogeneo e salvato nelle ultime giornate dalla presentazione del Leone d’oro.
Dopo il bel western intimo The Rider, la regista cinese, che vive e lavora negli Stati Uniti, ha fatto un ulteriore salto di qualità firmando un’opera molto bella e coinvolgente che piacerà anche al pubblico in sala, candidandosi ad altri premi, su tutti i prossimi Oscar. È la storia, dal libro di Jessica Bruder, di una donna investita dalle conseguenze della crisi economica del 2008/2009: dopo aver perso casa e lavoro, Fern si trova a vivere in un caravan e cercare lavori precari, con tenacia e determinazione. “Voglio lavorare, mi piace lavorare” afferma, sottolineando la volontà di farcela da sola. Un film sull’andare avanti perché la vita è la strada, un dramma intimo che diventa collettivo.
L’Italia, pur con quattro film in concorso, non poteva ambire a molto e ha portato a casa la Coppa Volpi di miglior attore per Pierfrancesco Favino in Padrenostro di Claudio Noce. Un premio abbastanza inatteso per un’interpretazione buona ma non memorabile in un film di ombre e luci, che sarà in sala dal 24. L’ultimo Leone italiano resta così Sacro Gra di Gianfranco Rosi, rimasto a mani vuote con Notturno. C’è da dire che le interpretazioni maschili di rilievo non erano molte, perché la maggior parte dei titoli in gara era incentrata su personaggi femminili. Ha battuto una bella concorrenza (soprattutto la bosniaca Jasna Duricic per Quo vadis, Aida di Jasmila Zbanic sul massacro di Srebrenica che avrebbe meritato un riconoscimento) la britannica Vanessa Kirby che ha conquistato meritatamente la Coppa Volpi femminile per Pieces of a Woman, produzione americana dell’ungherese Kornel Mondruczo. La Kirby era in gara anche nel meno interessante e troppo convenzionale The World to Come di Mona Fastvold, dramma lesbico in costume.
Il messicano Michel Franco ha ottenuto il Leone d’argento Gran premio della giuria, il secondo per importanza, per Nuevo orden, con la sua violenta rappresentazioni delle disparità sociali.
Il Leone d’argento per la regia consacra il giapponese Kiyoshi Kurosawa per Wife of a Spy – Moglie di una spia, un elegante dramma storico tra spionaggio e melodramma che fa i conti con i crimini compiuti dall’esercito nipponico durante la Seconda guerra mondiale.
Premio speciale della giuria al russo Andrei Konchalovsky, 83 anni ottimamente portati, quasi abbonato ai premi veneziani. Il suo Dear Comrades! ricostruisce in maniera classica e potente una rivolta operaia che il regime sovietico soffocò e segretò nel 1962, tutto dal punto di vista di una funzionaria di partito nostalgica di Stalin costretta a mettersi in discussione.
Una conferma per l’indiano Chaitanya Tamhane, che aveva vinto il Leone del futuro qualche anno fa con Court, premiato stavolta per la sceneggiatura di The Disciple, interessante storia di ossessione e passione per la musica tradizionale del nord dell’India.
Il Premio Mastroianni per un attore emergente è andato all’iraniano Rouhollah Zamani, protagonista di Sun Children di Majid Majidi nei panni di un bambino di strada che scava alla ricerca di un tesoro insieme ai suoi amici. L’altro escluso dal palmares è l’azero In Between Dying di Hilal Baydarov, forse l’unica novità della competizione, sospeso tra realtà e sogno.
La sezione parallela Orizzonti, con film davvero di buon livello, ha visto vincitore l’iraniano The Wasteland di Ahmad Bahrami, tra i più convincenti e duri lavori visti alla Mostra. Miglior sceneggiatura a I predatori del debuttante figlio d’arte Pietro Castellitto, con una pellicola corale, grottesca e dal tocco molto personale. Premio alla regia per il filippino Lav Diaz (già Leone d’oro 2016) con Genus Pan e premio speciale alla brasiliana Ana Rocha De Sousa per Listen, vincitrice anche del Leone del futuro per la migliore opera d’esordio.
da Venezia, Nicola Falcinella