“Encounters” è una nuova sezione inventata da Carlo Chatrian e dalla nuova squadra della Berlinale, una sezione interessata molto al linguaggio più che ai temi dei film. L’apertura è stato Malmkrog by Cristi Puiu, il regista rumeno famoso per il bellissimo Sieranevada di pochi anni fa. Il suo nuovo lavoro è una potente rappresentazione dell’aristocrazia russa del ‘800, tutta raccontata attraverso le infinite parole di un politico, una giovane contessa, un uomo che ha studiato religione, una nobildonna francese. Gli aristocratici conversano e cenano, si abbandonano ai giochi di società e parlano in continuazione di guerra, filosofia, religione e potere, parlano e parlano senza dirsi davvero nulla, ma in verità dentro c’è il Buñuel de L’angelo sterminatore, Gosford Park di Altman e molti altri film.
Il film è basato su un testo del 1915 del filosofo russo Vladimir Solovyov, War and Christianity: Three Conversations, il regista rumeno lo adatta in un viaggio globale attraverso la storia della Russia e del pensiero in generale, diventando così un affresco affascinante che offre anche una critica tagliente ai nostri tempi. Ma più che le parole per Puiu ogni film è soprattutto un esercizio di estetica e si conferma anche questa volta come uno dei registi più teorici in circolazione. La messa in scena è una rigorosa ripresa di splendidi tableau teatrali, ma lascia anche al fuoricampo un ruolo centrale alla dinamica della storia. La chiusura degli aristocratici nella loro splendida dimora rappresenta l’incapacità di affrontare sul serio la vita. Malmkrog è un film austero, cerebrale, dura tre ore e 20 minuti ma è un’esperienza lunga e impegnativa necessaria al pubblico del festival.
Al contrario Volevo nascondermi di Giorgio Diritti è un film che proprio nella forma è incompiuto. Il regista italiano racconta la storia del pittore Antonio Ligabue: Toni è il figlio di un emigrante italiano. Dopo la morte di sua madre, viene adottato da una coppia nella Svizzera tedesca. Ma i suoi disturbi fisici e mentali portano alla sua espulsione dal paese. Viene inviato in Italia contro la sua volontà, dove vive per anni in una misera povertà sulle rive del fiume Po, senza dimora fissa. Trova lavoro come lavoratore occasionale, ma rimane fedele alla sua grande passione per il disegno. Qui incontra uno scultore che lo convince a provare a dipingere, così inizia la sua strada verso la liberazione. Giorgio Diritti vuole mostrare il lato oscuro dell’uomo e le sue orribili visioni, un uomo ai margini che sente il bisogno di essere compreso e riconosciuto nella società. Diritti pone così di nuovo in campo il conflitto tra il singolo e la collettività, tema caro anche nei suoi film precedenti, ma è indeciso su quale strada veramente scegliere: infatti il film inizia alternando infanzia, adolescenza e età adulta, questo cambiare continuamente i piani narrativi dimostra anche l’indecisione di Diritti nel raccontare una storia che alterna follia, creatività e affresco contadino. Una storia che a un certo punto si ferma, manca di quello sviluppo necessario per raccontare la vita di un artista eccezionale, un solitario rivoluzionario nell’arte moderna. Elio Germano è comunque bravo nel restituirci un ritratto autentico di Ligabue, anche nei sui comportamenti animaleschi che sfiorano la caricatura. Ne esce perciò un film che a tratti è un biopic emozionante ma senza quella decisione nello sguardo che avrebbe dato al film un senso più compiuto.
da Berlino, Claudio Casazza