I morti non muoiono i vivi nemmeno perché sono già morti. Morti viventi senza trapasso e sepoltura. I vivi di Jim Jarmusch sono assiderati, congelati in uno spazio urbano senza vibrazioni, si alimentano di un’emotività basica. Inversione dei poli, spostamento dell’asse terrestre, il giorno che si mangia il crepuscolo: la catastrofe incombe sugli uomini perché gli uomini hanno divorato la terra e adesso paiono rimbambiti da una digestione impossibile. Per questo dagli inferi riemergono i morti affamati di carne umana, perché in definitiva la vita da zombie possa diventare l’unica vita possibile.
Jarmusch da qualche tempo sembra riflettere sul concetto di “essere in vita” rivisitando l’horror. Solo gli amanti sopravvivono e I morti non muoiono lo confermano. Dalla decadenza sciatta dei figli di Dracula annoiati dall’eternità agli zombi in cerca di rete nel paesino farlocco di Centerville, Ohio, il quadro è desolante e ci costringe a guardare con amara ironia al nostro presente materialista. Cosa ci meritiamo se non la rovina? L’orrore diagnostica l’unica prospettiva. Ci siamo, il confine lo abbiamo superato ed è solo questione di tempo. Non può che finire male, lo ripete con insistenza il poliziotto Ronnie Peterson: “This is gonna end badly”. I colpevoli sono gli uomini e lo dimostrano anche da morti-viventi che, stolti, chiedono disperati di poter consumare ancora: coffee, Chardonnay o wi-fi!, a riassumere in una sola istanza una precedente vita sprecata e demoralizzando Spoon River con una nuova antologia pop. Anche gli zombi di Romero e Argento si accalcavano in un ipermercato, come attirati da una calamita, ma in questi c’è una disperazione forse maggiore, e con tutta probabilità è il risultato della pochezza di chi è ancora vivo. Bill Murray, Adam Driver, Chloë Sevigny, tutori dell’ordine nel disordine caotico della follia in cui è sprofondato il mondo, sono magnifici interpreti – ognuno a modo proprio – della sconfitta inesorabile, definitiva e senza appello del genere umano: uomini e donne come oggetti da consumare. This is gonna end badly ripete Ronnie che ha il volto di Driver e il cognome Peterson, così simile a Paterson (nome del protagonista, interpretato dallo stesso Driver e della cittadina che dava il titolo al precedente film di finzione di Jarmusch) da farci sospettare attinenze nascoste. Direi riversamenti da un film all’altro: a partire proprio dagli ambienti e dagli attori, che tornano portandosi dietro i tratti di altri personaggi, come se il cinema di Jarmusch fosse un intricato sistema di vasi comunicanti. This is gonna end badly torna come fosse l’ultimo verso dell’ultima poesia di Paterson, inesorabile chiusa di un copione già scritto. Sfuggire dalle pagine del copione non è possibile nemmeno mettendocela tutta, massima aspirazione per i poliziotti Peterson e Robertson (un Bill Murray che non finisce di sorprendere), consolazione da fine vita senza eroismo. E non è possibile nemmeno se si è bambini e privi di colpe, tanto è il veleno prodotto dalle generazioni che li hanno preceduti. E qui – attenzione allo spoiler! – si arriva al parossismo di un piano orrorifico che viene sorpreso dall’incursione di un altro mondo che salva un essere (alieno?) vissuto all’ombra della mediocrità dei cittadini di Centerville; o alla discrepanza diegetica che ha l’aspetto di un uomo dei boschi che si è emarginato (quindi alienato) in posizione di netto rifiuto del centro (centerville), delle sue luride regole, e della passività con cui gli uomini le hanno subite (si salverà, forse, anche lui). Fine dello spoiler.
Implacabile Jarmusch con I morti non muoiono presenta il conto: mentre confonde con ammiccamenti di genere, prepara lo spirito del demiurgo castigatore sulle note di The Dead Don’t Die di Sturgill Simpson e riparte da tutti i suoi diner di provincia americana e da chi li ha popolati in chilometri di pellicola, per convergere nella sua Centerville e farla finita con un’umanità bislacca, immobilizzata in stereotipie patologiche, schiava di rituali narcotizzanti, assuefatta all’identità di sguardo sulle cose (e porto come esempio la reiterazione delle stesse soggettive, ma di tre persone diverse che posano gli occhi sui primi cadaveri rinvenuti guarda caso in un diner). Come dar torto alla voce profonda di Tom Waits quando riassume con un epitaffio: “Che mondo di merda!”.
Alessandro Leone
I morti non muoiono
Sceneggiatura e regia: Jim Jarmusch. Fotografia: Frederick Elmes. Interpreti: Adam Driver, Bill Murray, Tilda Swinton, Chloë Sevigny, Steve Buscemi, Caleb Landry Jones, Selena Gomez, Austin Butler, Tom Waits, Iggy Pop, Danny Glover, RZA, Sara Driver. Origine: USA, 2019. Durata: 103′.