Stéphane Brizé, dopo La legge del mercato, torna in concorso al Festival di Cannes con un nuovo film di impegno sociale, En Guerre, titolo che chissà se vuol fare il verso al movimento politico francese “En Marche!” Il campo di battaglia è la fabbrica Perrin ad Agen e i soldati sono i 1100 operai che tentano di salvare il proprio lavoro, scioperando e dando inizio a una protesta che durerà mesi. Il loro grande nemico, senza volto e senza nome, è il mercato, per il quale “un azionista ha più potere del Ministro del Lavoro”. Nonostante i sacrifici dei lavoratori e l’incasso record dell’azienda, la direzione ritiene più vantaggioso non restituire gli stipendi arretrati, in nome del profitto. Prende così la decisione di cessare definitivamente l’attività e di licenziare in tronco tutti gli operai. Il portavoce dei lavoratori è Laurent Amédéo (Vincent Lindon), disposto a battersi fino all’ultimo come loro rappresentante, perché, come si ricorda in apertura del film con Bertold Brecht, “Chi combatte rischia di perdere, ma chi non combatte ha già perso”. A discussioni accese, in cui le grida e il vociare sostituiscono completamente la colonna sonora, seguono scene di manifestazione, prive di rumori intradiegetici, in cui la tensione drammatica è marcata da un crescendo di chitarre elettriche. Il culmine della tensione viene bruscamente troncato da schermate nere, in cui domina un riflessivo silenzio, che permette allo spettatore di riprendere fiato e di interrogarsi.
A dare un taglio di tipo documentaristico allo svolgersi della lotta sindacale contribuiscono le numerose scene costituite dai servizi di cronaca che i telegiornali dedicano alla vicenda. Tali inserti nella loro scarna cronaca televisiva propongono una visione distorta e parziale, centrata solo sugli eventi di sporadica violenza commessi dagli operai in sciopero. Per conoscere le ragioni, i sentimenti e tutto ciò che sta dietro alla tenace “guerra” che gli operai combattono per la salvezza del proprio posto di lavoro, che in molti casi coincide con la propria esistenza, bisogna andare oltre la breve notizia televisiva. Ed è proprio la finzione cinematografica che il regista Brizé affida ad attori non professionisti, con l’unica eccezione del bravissimo Vincent Lindon, a svolgere tale funzione. La partecipazione diretta e coinvolgente alla protesta è accentuata, inoltre, anche dai movimenti di macchina. Tra una nuca e una spalla, la camera a mano si sposta come lo sguardo di un operaio, catapultando lo spettatore nella confusione della difficoltosa realtà, in uno scenario di vera e propria guerra. Si è talmente coinvolti emotivamente che, per la prima volta, ci è capitato nel corso del film di assistere a ripetuti applausi, a commenti e risate.