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WONDER: l’intrattenimento che educa.

wonder-locandinaAuggie Pullman (Jacob Tremblay) è un bambino di dieci anni affetto da una grave anomalia cranio-facciale. Pur avendo subito svariati interventi chirurgici, il suo aspetto è ben lontano dall’essere quello di un ragazzino normale. Per questa ragione, la madre (Julia Roberts) ha deciso di proteggerlo dagli sguardi della gente e provvedere personalmente alla sua istruzione, evitando di mandarlo a scuola per l’intero corso delle elementari. È venuto il tempo, però, che Auggie affronti finalmente il mondo esterno e si confronti con i propri coetanei, i quali, talvolta, sanno essere molto crudeli.

C’erano una volta le belle fiabe edificanti: variopinte, debordanti, irrealistiche e tuttavia vere per l’autenticità delle emozioni e dei sentimenti che sapevano evocare; c’erano le fiabe alla Pierino Porcospino di Heinrich Hoffmann, pensate appositamente per spaventare i bambini, con tanto di lupi cattivi e terribili contrappassi punitivi, che miravano a formare il comportamento attraverso il deterrente del castigo più crudele e che, per questa ragione, i pedagogisti di oggi bollerebbero certamente come insensate e diseducative; c’erano poi le favole colte e grottesche, alla Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile o La tiorba a taccone di Felippo Sgruttendio de Scafato, intrise di caricature, morbosi doppi sensi e barocche commistioni di immagini da apparire quasi deliri di una mente schizoide; e c’erano le favole romantiche, quelle dei fratelli Grimm, wonder-2le cui inquietudini, eco di una tradizione popolare antica, seppur già incanalate all’interno di uno sviluppo narrativo più lineare e conciliante, erano capaci di conservare  quel senso di mistero e di irrisolto piacere tipico del folklore contadino. Da quest’ultimo genere, i film d’animazione del secolo scorso – ma non solo d’animazione –, hanno tratto forte ispirazione, spesso mitigando l’atavica energia, al punto da offrire al grande pubblico rivisitazioni sempre più patinate, dai finali rassicuranti, in cui il dolore esistenziale e la morte finiscono per essere rimossi o, quantomeno, relegati ai margini del racconto, lasciando sempre meno spazio ai quei molteplici livelli di lettura che erano caratteristica principe delle favole del passato. La Disney, in questo senso, ci ha messo del suo. Dopo le grandi sperimentazioni degli anni ’20, ’30 e ‘40, i suoi lungometraggi si sono lentamente trasformati in prodotti di mero svago per famiglie piccolo borghesi, famiglie che esistono soltanto nell’immaginario collettivo e nelle fabbriche di desideri dei media, dove i buoni sentimenti trionfano sempre, così come il bene sul male, la giustizia sull’ingiustizia, e tutto appare semplice, chiaro, incoraggiante.

wonder-3Wonder di Stephen Chbosky, adattamento cinematografico del romanzo omonimo per ragazzi di R. J. Palacio, si inserisce certamente in questo contesto manierato e natalizio, ma con esiti insperati, grazie soprattutto a una struttura narrativa di kurosawiana memoria – molto fedele al libro della Palacio, peraltro – nella quale, come episodi a parte, i punti di vista dei personaggi che gravitano intorno al protagonista e alla traccia principale del racconto sono messi a confronto con tutto il loro carico di passioni e verità parziali, oltre che a un delicato approfondimento psicologico dei personaggi – vero marchio di fabbrica di Chbosky, già  evidenziato in Noi siamo infinito – frutto di un’operazione drammaturgica che fa della semplificazione  la condizione stessa per far emergere stati d’animo più intimi, senza che la messa in scena scada mai in strepiti eccessivi o in scelte stucchevoli.
Fortunata anche la selezione del casting, a cominciare dalla Roberts, la quale incarna perfettamente la figura della madre protettiva e timorosa, cui fa da contrappunto quella più coraggiosa, e allo stesso tempo più ironica, del marito (Owen Wilson) e una serie di personaggi minori che contribuiscono a completare il quadro.

Sarebbe stato forse opportuno un più attento lavoro sul personaggio di Julian Albans (Bryce Gheisar), il bullo della scuola, la cui crudele prepotenza, troppo sbrigativamente giustificata con l’influenza negativa dei ricchi e cinici genitori, tende scadere nei cliché disneyani del passato e farne un villain incolore e abbastanza prevedibile. Tuttavia, a parte qualche evitabile fragilità, Wonder si dimostra un film intelligente, capace non solo di rilanciare un filone esemplaristico che sembrava ormai definitivamente superato, ma soprattutto di dimostrare che, al di là delle logiche del target e dello show businnes, è ancora possibile distinguere la morale dal moralismo e intendere il cinema uno straordinario veicolo di educativo intrattenimento.

Manuel Farina

Wonder

Regia: Stephen Chbosky. Sceneggiatura: Stephen Chbosky, Steve Conrad, Jack Thorne. Fotografia: Don Burgess. Montaggio: Mark Livolsi. Musiche: Marcelo Uchoa Zarvos. Interpreti: Jacob Tremblay, Julia Roberts, Owen Wilson, Izabela Vidovic, Noah Jupe, Bryce Gheisar. Origine: USA, 2017. Durata: 113′.

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