E’ oggetto da identificare con pazienza Personal Shopper. Disorienta e sorprende, attrae e respinge dentro e fuori le maglie di una trama sfuggente, articolata in stanze narrative impossibili da percorrere linearmente, nonostante il racconto non configuri slittamenti temporali o elisioni audaci. Un paradosso frutto di un viaggio ambiguo che la protagonista Maureen (Kristen Stewart) compie sul disegno di almeno due differenti tracciati filmici, più un terzo che si configura in prossimità dell’epilogo.
Con ordine. Maureen è la personal shopper di Kyra (Nora Von Waldstatten), ricchissima star del jet set. Su indicazione della donna, che vede solo in rare occasioni, Maureen acquista abiti e gioielli costosissimi, spostandosi per le capitali europee come se fossero quartieri di una megalopoli. Non proprio un lavoro ordinario. Ma la giovane donna, che tre mesi prima ha perso il gemello Lewis per un’insufficienza cardiaca, ha poco di ordinario: è una medium e sta cercando di liberare la vecchia casa di campagna, di proprietà della fidanzata di Lewis, da quella che immagina essere la presenza infestante dello spirito del fratello. Quando sul cellulare Maureen inizia a ricevere messaggi da uno sconosciuto che sembra conoscere ogni suo spostamento, il sospetto che si tratti di un contatto con l’aldilà diventa un’ossessione. Disorientata e tormentata da manifestazioni paranormali, la vita di Maureen viene sconvolta da un altro episodio violento, che coinvolge direttamente la sua datrice di lavoro.
Olivier Assayas ancora una volta sceglie un personaggio femminile controverso per guardare ai mutamenti sociali e culturali che investono la società contemporanea, per ipotizzarne gli effetti sull’individuo messo in crisi dallo sfaldamento delle relazioni interpersonali, da una comunicazione che esige il transito in luoghi virtuali, dal sacrificio del corpo carnale sostituito dall’immagine del corpo stesso moltiplicata in rete. In Sils Maria ne prendeva coscienza la protagonista Maria Enders (interpretata da Juliette Binoche), attrice disarmata dallo scarto abissale che la rendeva straniera nel villaggio globale, mentre giovani star emergevano a colpi di twit. In Personal Shopper il regista, abbracciando il cinema di genere, non rinuncia al percorso introspettivo (a lui caro), semmai lo metaforizza nella scelta di sdoppiare il film e la sua protagonista, da subito, con quel pedinamento nella casa ormai abbandonata e piena di porte-finestre in cui Maureen si specchia e si moltiplica.
Dopo aver spalleggiato la Binoche in Sils Maria, Kristen Stewart è qui padrona assoluta della scena, in un ruolo che ha delle parentele con quello di assistente personale dell’attrice Maria Enders nel precedente film. Nel ritiro quasi metafisico in Engadina, nei panni di Valentine – invischiata nella drammaturgia di un copione cinematografico che raccontava dell’amore interessato tra una ventenne e una quarantenne, ora complice della Enders, ora suo alter-ego, proiezione erotica e oggetto del desiderio – a tre quarti del film la Stewart scompariva letteralmente, come risucchiata da una delle gole del Maloja, cancellata dal film e dall’inconscio di Maria Enders, in crisi di identità e incapace di immaginarsi matura (anagraficamente).
Personal Shopper – azzardo – immagina un dopo Sils Maria, una Valentine dopo l’Engadina, passando dalle ambiguità dell’essere ombra di un’attrice in crisi, al servizio algido prestato a un personaggio quasi incorporeo, abitante del World Wide Web, che ne amplifica la luce effimera e la riduce a pura apparizione; un’occupazione che trova la sua specularità nella ricerca di un altro corpo invisibile, quello del fratello, da cui si aspetta un segno concreto. Valentine mediava tra Maria e il suo fantasma giovanile, Maureen media tra sé e due corpi assenti: Kyra e Lewis. La prima non ha vero profilo psicologico, si limita ad arrivare al pubblico come figurina capricciosa. Assayas lascia consapevolmente vuoto questo personaggio in funzione di Maureen, il cui compito è preciso: scegliere gli abiti che Kyra indosserà in luoghi inarrivabili; e solo questi abiti (vuoti) portano il segno della sua presenza. Di Lewis, invece, cerca di decriptare un linguaggio fatto di suoni e luccichii, per capire se esista ancora come corpo astrale.
La trovata di Assayas è ingaggiare l’horror delle case infestate (in cui non mancano visioni di spaventosi ectoplasmi) senza cercarne tempi e colori, insieme a un plot che invece fa proprie le tensioni del thriller, quando la personal shopper diventa oggetto delle attenzioni di uno sconosciuto (ma potrebbe essere una donna), che pare conoscere a fondo la natura del suo lavoro e che si diverte ad alimentare desideri reconditi, come la possibilità mai sublimata di vestire gli abiti acquistati per Kyra. L’invito alla trasgressione che solletica Maureen, occupa la parte centrale del film, che improvvisamente pare smarcarsi dalle atmosfere orrorifiche per imparentarsi al thriller psicologico costruito sui fraseggi allusivi di un dialogo whatsapparo ovviamente scarno. Eppure in questo gioco di digressioni continue, in cui non si capisce quale delle due vicende che vedono protagonista Maureen costituisca il subplot del plot, esiste un comune denominatore: liberare pienamente se stessa dal giogo di individui la cui esistenza nel mondo reale è incerta. Il gemello Lewis e Kyra sono in sostanza doppi di cui disfarsi, così come Valentine si era disfatta di Maria prima che la stessa si impossessasse di lei.
Senza preoccuparsi di negare o meno echi al cinema di Lynch, Fincher o Polanski, Assayas strumentalizza sfacciatamente i generi, rimarcando un’adesione parziale, volutamente depistante, quasi sperimentale nell’inscatolarli uno dentro l’altro, per poi spostarsi nel cinema surrealista, nel senso di una focalizzazione spaziale che potrebbe tranquillamente essere fasulla, onirica, schizofrenica, celebrale e intima di Maureen, una sorta di Inland Empire, in cui identificare meccanismi di causa-effetto o cercare risposte agli interrogativi del plot diventa tempo sprecato.
Alessandro Leone
Personal Shopper
Sceneggiatura e regia: Olivier Assayas. Fotografia: Yorick Le Saux. Montaggio: Marion Monnier. Interpreti: Kristen Stewart, Lars Eidinger, Sigrid Bouaziz, Nora Von Waldstatten, Anders Danielsen Lie, Ty Olwin. Origine: Francia, 2016. Durata: 105′.