Che titolo idiota è stato dato in Italia alla commedia di Peter Brosens e Jessica Woodwort (sceneggiatori e registi) King of The Belgians. D’accordo, non è una novità la storpiatura dei titoli inglesi. Ma questo re dei belgi, che in visita a Istanbul, finisce per perdersi nelle terre della ex Jugoslavia, non è proprio allo sbando. E’ semmai un re moderno, emblema di un’istituzione, la monarchia, che non è altro che una messa in scena, vessillo un po’ muffo, anacronistico, di un retaggio sbiadito, per di più in un paese che potrebbe essere “un compromesso geopolitico” (citando una sagace battuta di uno dei personaggi del film).
Il re del Belgio Nicolas III (Peter van den Begin) a Istanbul apprende che la Vallonia ha dichiarato l’indipendenza e, pensando di contare ancora qualcosa, bloccato in Turchia da una tempesta solare, decide di fuggire dall’albergo in cui alloggia e di attraversare l’Europa con mezzi di fortuna, portandosi dietro un diplomatico (Bruno Georis), la bella responsabile della sua immagine pubblica (Lucie Debay), il cameriere personale (Titus De Voogdt), e il regista Duncan Lloyd (Peter van der Houwen), che nel frattempo sta girando un documentario proprio sul re. Quest’ultimo, consapevole che documentare la fuga e il rimpatrio vorrebbe dire realizzare un film senza eguali, non perde occasione per supportare la folle idea di Nicolas.
Non è allo sbando dunque questo re, ma semmai persuaso di poter incidere nei destini del suo popolo trasformando un timone simbolico in una guida di fatto, addirittura scrivendo di suo pugno un discorso personale e sentito.
I registi lavorano con umorismo (a volte nero) sul re e il suo team, affidando il loro occhio allo scafato Duncan Lloyd, uomo di mestiere ma, in fondo, dotato di rara sensibilità e forza morale. Testimone dei mutamenti violenti che hanno caratterizzato le terre slave, il regista diventa il controcanto del re, la sua piccola macchina da presa registra il viaggio on the road, ma al tempo stesso si fa specchio e contemporaneamente invito all’avventura. Il re che si fa re non perché un protocollo ne ha sancito i poteri fittizi per investitura, ma perché, da cittadino europeo, accetta di dialogare con la storia recente, fuori dai comodi scranni del potere, lontano dalle cerimonie rituali, dalla noia di incontri vuoti, dalla prosa di frasi preconfezionate e scritte da altri. Nicolas III è l’immagine del sovrano fantoccio destinato all’alienazione, suddito delle circostanze e, dunque, meno libero dei suoi sudditi.
La chiamata all’avventura è esilarante, ma il surreale attraversamento dei Balcani non scade mai in un aneddotico macchiettismo. Certo, non tutti i personaggi di questa folle combricola esprimono pienamente il proprio potenziale narrativo e, forse, dopo la calda estate turca, il film pare un passo dietro l’oggi.
Peter Brosens e Jessica Woodwort, un passato da documentaristi, non temono i rischi di una scontata allegoria e, anzi, suggeriscono spudoratamente all’Europa che siede a Bruxelles di ripartire dalle frontiere più calde, per ricercare l’identità europea.
Alessandro Leone
Un re allo sbando
Sceneggiatura e regia: Peter Brosens,Jessica Woodwort. Fotografia: Ton Peters. Montaggio: David Verdurme. Interpreti: Peter Van den Begin, Lucie Debay, Titus De Voogdt, Bruno Georis, Pieter van der Houwen. Origine: Belgio/Olanda/Bulgaria, 2016. Durata: 94′.