Cristina Comencini non è né sarà mai una grande regista, e resta semmai ciò che è consustanziale alla sua natura, una figlia d’arte, più sofisticata di certe, meno consapevole di altre, ma comunque legata a quell’eredità principesca che il suo cognome le ha cucito addosso. C’è un però qui, dato dal fatto che, almeno per questo film, la Comencini non guarda alla commedia di papà Luigi, ma a quella francese, più poetica nell’espressione, più leggiadra nelle forme, meno affardellata da tutte quelle giunture, quelle verbosità che hanno reso la commedia nostrana ciò che siamo abituati a vedere al cinema. Non è poco, considerando che la sua non è una moda che ha preso piede facilmente su suolo patrio, ma che rimane confinata ad alcune cosucce tipo Ciliegine (2012) di e con Laura Morante, o a un certo cinema di Gianni di Gregorio. Solo questo basterebbe a far parlare bene di Qualcosa di nuovo, l’essere francesisti a discapito dell’italianità opprimente che ci si porta appresso, e prendere una storia di caserma e mondarla di tutte le superfetazioni, gli aggravi, le brutture a cui gli italiani si dedicano. Cristina Comencini, che adatta per il cinema la sua pièce teatrale La scena, fa un film di donne, o almeno su quello che le donne si aspetterebbero di veder rappresentato su grande schermo, con due protagoniste sulla quarantina, amiche single di vecchia data, che sono l’una l’opposto dell’altra, ma che in qualche modo si compenetrano, si equilibrano nella loro stravaganza e nei loro eccessi: Paola Cortellesi, dritta come un fuso, fredda, severa e tutta imbustata nei suoi abiti scuri che di uomini non ne vuole più sapere; Micaela Ramazzotti, che invece di uomini non ne ha mai abbastanza, e che una sera, ubriaca, si porta a letto un ragazzino nemmeno ventenne (Eduardo Valdarnini). Peccato che, per una specie di inconsapevole transfert causato dall’alcol, al mattino il ragazzetto non si ricordi più nulla, e scambi l’una per l’altra, cioè l’algida Cortellesi per la più caliente Ramazzotti, cosa che la Cortellesi non mette affatto in dubbio. E insomma comincia un gioco incrociato di seduzioni durante il quale le quarantenni si contendono il baldo giovane, che però è il più intelligente del trio e sintetizza con matematica precisione l’intima essenza dell’identità muliebre: le donne passano la metà della loro vita a fare progetti, l’altra metà a demolirli.
Qualcosa di nuovo non è un film stupido, e se visto da una certa angolazione, riesce a dire sull’oggi molto più di certo cinema di lolite. È il linguaggio ad accendere la fantasia dell’abile regista, non soltanto o non tanto quello cinematografico, ma quello scritto, veicolo batteriologico di pensieri e parole che ottundono, offuscano, inebriano. Le due donne, mature, ingannano il più giovane trascinandolo in un triangolo amoroso dove le parti si scambiano, i ruoli si confondono, tutto si fa incerto e strano. E il giovane, dal canto suo, imbroglia le amanti intrecciando relazioni clandestine con entrambe. È un palcoscenico in divenire, questo film, debitore in alcuni tratti, in certe battute, dell’opera da cui è tratto, e che proprio come a teatro dispone colpi di scena e apparizioni da dietro le quinte. Certo anche l’inganno non si confà a una pellicola che fa dell’incertezza il punto di forza: chi inganna chi, con esattezza? No, l’arte del raggiro è tutta italiana, e la Comencini, dicevamo, è francese: lei si diverte, gioca, è spensierata, e ci ricorda costantemente che la commedia e le relazioni tra i sessi, dentro e fuori i parametri del cinema, non sono altro che una simpatica e scanzonata boutade. Dirige e bene e conclude ancora meglio, sbugiardando (o ingannando con la stessa vaghezza di linguaggio) la Anne Fontaine di Two Mothers.
Marco Marchetti
Soggetto: La scena di Cristina Comencini. Regia: Cristina Comencini. Sceneggiatura: Cristina Comencini, Giulia Calenda. Interpreti: Paola Cortellesi, Micaela Ramazzotti, Eduardo Valdarnini. Origine: Italia. Anno: 2016. Durata: 93 min.