Corre l’anno 1995, Israele vive nella pace. Tre sorelle, Cali (Géraldine Nakache), Darel (Yaël Abecassis) e Asia (Judith Chemla), cittadine del mondo, si danno appuntamento nella piccola città di Atlit, per vendere la casa ereditata dai genitori. Il loro rapporto con quelle mura è confidenziale ma difficile, tanto che le tre donne, nel concreto impegno di aprire le porte agli acquirenti, sono in conflitto sulla decisione della vendita: necessario è cederla, o perlomeno, deciderne il destino. Il 4 novembre 1995 l’aria di pace viene spazzata via dall’omicidio di Rabin, il primo ministro israeliano. Il disaccordo tra le sorelle verrà ribaltato dalla crisi politica del paese, che rimodellerà il loro rapporto, per costruire una nuova piccola declinazione di futuro.
La casa di Atlit è un’oasi in mezzo al disordine israeliano. Un paradiso perduto, diroccato ma intatto negli interni, impregnato di ricordi di famiglia: un terreno franco, ameno. Le protagoniste rappresentano tre generazioni adulte: i venti, i trenta e i quaranta, tre differenti profondità di legame con l’eredità. Israele come paese è escluso dal recinto della casa privata, fino alla crisi nazionale. Con la morte di Rabin cala la notte vera. Un trauma, la fine di un sogno o forse di un’ipocrisia: la pace arabo-palestinese. Shirel Amitaï mostra l’invisibile sul piano della realtà, in uno spazio chiuso che ne permette la compresenza. “Essere in pace con i propri fantasmi è fondamentale”.
Come insegna la cabala ebraica, le presenze non dipendono solo dai vivi, ma sono persone che non vogliono morire, perché hanno ancora qualcosa da compiere. Le ragazze evocano i fantasmi dei loro genitori, un asino, un ragazzino palestinese. Quest’ultimo cerca un posto per vivere, stabilirsi, crescere, quando Cali pur possedendolo non riesce a dichiararlo suo. Cali, più di tutte, è certa di vendere la casa, non voler avere niente a che fare con quel paese, ricostruirsi una vita da zero. Il giardino, che lei cerca di domare, è un rifugio-trappola. Entra simbolicamente a contatto con le radici della propria terra. I fantasmi, nel frattempo, soccorrono le anime irrequiete più vicine a lei, in un’allegra confusione famigliare, mostrando le ragioni possibili per non cancellare il passato.
L’ultima proposta di acquisto della casa è da parte di alcuni religiosi americani. E se la politica religiosa avanza imponente, provando a schiacciare le ragioni affettive delle ragazze, la vendita non sarà possibile. Cali si interroga definitivamente sul cedere la casa, convincendosi infine che l’eredità è un segno di appartenenza e come tale va accettato e conservato. La decisione di preservare Atlit come un tesoro di famiglia chiarisce l’invito ad adoperarsi, per risolvere i conflitti delle micro-relazioni. Risanare e rafforzare la base di pace individuale, per supportare la famiglia, la nazione, e il mondo attorno a noi.
Giulia Peruzzotti
La casa delle estati lontane
Regia: Shirel Amitaï. Sceneggiatura: Shirel Amitaï. Fotografia: Boaz Yehonatan Yaacov. Montaggio: Frédéric Baillehaiche. Interpreti: Géraldine Nakache, Yaël Abecassis, Judith Chemla, Pippo Delbono, Arsinée Khanjian. Origine: Francia/Israele, 2014. Durata: 91′.
https://www.youtube.com/watch?v=q86iuBucgyw