Annoverato dall’American Film Institute tra i cento film americani più importanti della storia, Un americano a Parigi torna restaurato nelle sale italiane il 9 giugno, a distanza di 65 anni dal suo debutto.
Il film racconta di Jerry Mulligan (Gene Kelly), un giovane americano che, congedatosi dal conflitto Mondiale, decide di stabilirsi in Europa. La sua predilezione è la pittura e, naturalmente, decide di stabilirsi nella ville lumière come pittore. La sua casa parigina è piccola e modesta, una stanza di incastri a misura di artista. Il suo circolo artistico: un paio di sgangherati amici bohémien, amanti della musica e dell’energia della città.
Jerry espone i suoi quadri in una Montparnasse da cartolina, tipico immaginario hollywoodiano anni ’50. Nessuno sembra interessato alla sua arte, tranne Miss Milo Roberts (Nina Foch) che, annoiata dalla sua stessa ricchezza, acquista uno suo scorcio parigino. La lady si invaghisce di Jerry, più come uomo che come artista. Tenta di sedurlo, invano: Jerry non è troppo lusingato e attento alle avance della ricca e matura ereditiera – che potrebbe aprirgli le porte delle più importanti gallerie – e si innamora presto di una giovane commessa, Lise Bouvier, interpretata da una giovanissima Leslie Caron. Cresce un forte istinto amoroso tra Jerry e Lise, che vivono un amore casto e clandestino. Ma un forte senso di responsabilità fa si che la ragazza abbandoni il pittore squattrinato per un altro uomo. Jerry infatti la ama, senza sapere che è la donna alla quale, il suo amico Henri Baurel (Georges Guétary), chiederà presto la mano.
Vincitore di sei premi Oscar, Un americano a Parigi è un’amorosa avventura in technicolor, costruita sulla struttura di un omonimo poema sinfonico firmato George Gershwin. 1928 è l’anno di pubblicazione dell’opera musicale, che descrive la Parigi degli anni ’20 nel suo pieno tumulto artistico post bellico.
“La mia intenzione è quella di descrivere le impressioni di un americano in visita a Parigi che, passeggiando per la città, ne ascoltando i suoni e i rumori, impregnandosi dell’atmosfera francese – disse Gershwin stesso – Come in altre mie opere orchestrali, non ho cercato di presentare delle scene precise. La rapsodia è a programma ma ognuno può leggere nella musica tutte le immagini che preferisce.”
Il canto e la danza sono espedienti narrativi travolgenti, tali da arricchire una trama semplice e fruibile tipica del cinema hollywoodiano di quegli anni. La danza è la fantasia dei protagonisti, e il canto l’espressione gioiosa della loro anima. Le coreografie, espressive e libere nei loro evocativi spazi scenografici, ricordano le composizioni pittoriche dei Renoir, dei Monet, o Toulouse-Lautrec. Coreografie semplici sono apprezzate su diversi punti di vista della scena: scorci cinematografici che altrimenti, dalla solida posizione di una poltrona da teatro, non si potrebbero gustare. Un finale indimenticabile, così maestoso da amplificare, in 17 minuti di coreografia, un aggroviglio di sentimenti di poco più di una manciata di secondi. Persino l’occhio moderno, abituato alla frenesia digitale, rimarrebbe catturato da questa epica espressione dell’arte visivo-musicale che, da lì a pochi anni, avrebbe per sempre consacrato l’America come patria del musical. Un’emozionante forma di intrattenimento, utile a distrarsi dalla confusione provocata dalla guerra. E perché no, anche oggi da questo esubero di supereroi.
Giulia Peruzzotti
Un americano a Parigi
Regia: Vincente Minnelli. Sceneggiatura: Alan Jay Lerner. Fotografia: Alfred Gilks, John Alton. Montaggio: Adrienne Fazan. Interpreti: Gene Kelly, Leslie Caron, Oscar Levant, Georges Guétary, Nina Foch. Origine: Usa, 2016. Durata: 115′.